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una strana lettera da Auschwitz
il contributo di Francesco di Luraschi

riferimento a "una strana lettera da Auschitz" di Aldo Baldi

Per capire come possa esistere una lettera simile in un contesto notoriamente tragico occorre partire da quanto successe in Italia dopo l’armistizio di Cassibile dell’8 settembre 1843 giorno in cui il Capo del Governo Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio, ai microfoni dell’EIAR, comunicò la cessazione delle ostilità contro le truppe anglo-americane, comandate dal Generale Eisenhower, secondo un accordo già raggiunto il giorno 3 dello stesso mese. Sappiamo cosa successe ai componenti del Regio Esercito Italiano: molti vennero sorpresi nelle caserme subito accerchiate dalle unità tedesche e disarmati, altri datisi alla fuga travestiti da civili incapparono nei rastrellamenti delle SS le quali chiesero subito “collaborazione” offrendo come prospettiva l’inquadramento nelle unita’italiane della Wehrmacht o, dopo la liberazione di Mussolini e la costituzione della RSI, di entrare a fare parte del neonato esercito repubblicano. Oltre chi accettò e seguì la strada già indicata sopra ci furono circa 700.000 tra ufficiali e soldati che, avendo giurato fedeltà ad una bandiera e a un Re,(ora comunque fuggiasco nei territori meridionali “liberati” o “occupati”secondo i punti di vista) rifiutarono le offerte tedesche. Questi ex combattenti dell’Esercito Regio subirono di conseguenza la deportazione in Germania via treno, inizialmente negli Stammlager, cioè in campi principali di smistamento, per poi essere assegnati a campi minori: gli ufficiali negli Oflag, i sottoufficiali e i soldati negli Stalag. Non vi era grossa differenza tra i due tipi se non in servizi di corvè da cui gli ufficiali erano esentati. Fonte diretta di questa triste vicenda e’il libro del tenente di artiglieria G.Guareschi (1908-1968)“Il grande diario/ Giovannino cronista del Lager 1943-1945” in cui l’autore descrive la vita quotidiana all’interno dei diversi campi in cui transitò nei 19 mesi di prigionia. La fame, l’autore scrive questa parola con piu’ “f” iniziali a secondo dello stimolo che prova e segnala inoltre casi in cui si mangiarono topi, legna arrosto e perfino episodi di cannibalismo, la sporcizia (pidocchi, pulci e cimici: solo nel campo di Beniaminowo si contarono 30.000 russi e 10.000 ebrei morti di tifo petecchiale), le malattie(la piazza delle adunate ridenominata “Piazza Polmonite”)e le umiliazioni non mancarono, anzi vennero accentuate dal fatto che a questa categoria di militari non venne concesso lo status di POW quindi tutelati dalle garanzie previste dalla Convenzione di Ginevra e dagli aiuti dalla Croce Rossa bensì vennero inquadrati come IMI cioè internati militari sprovvisti quindi di garanzie a tutela. Praticamente il III Reich, nazione in guerra, trattò questi ex combattenti come la Svizzera neutrale che però concedeva ampi diritti di movimento a queste categorie di persone. Solo agli italiani, ai russi e ai polacchi venne riservato un trattamento così duro mitigato solo dall’arrivo di pacchi viveri spediti dalle famiglie, pacchi che comunque arrivavano sporadicamente a volte già aperti e che andavano a fornire il mercato nero interno. Lo status di POW venne riconosciuto solo dopo la liberazione per mano degli inglesi mentre gli aiuti della Croce Rossa arrivarono solo col contagocce. Il Guareschi (“combattente senz’armi e senz’armi combatto” si definisce) descrive il clima che si respirava all’interno delle baracche: le razioni alimentari ridotte all’osso erano un ottimo grimaldello per ottenere “collaborazione”: sia i militari tedeschi che le “commissioni” italiane composte da fascisti passavano tra i letti a cercare “aderenti” o “optanti”, persone cioè che in cambio di vitto e trattamento parificati ai militari volessero entrare a fare parte dell’esercito repubblicano o delle unità italiane di supporto alla Wehrmacht. Non era nemmeno esclusa la possibiltà di andare a lavorare come operai presso fabbriche, nei campi come “ciliegiai” o spaventapasseri(!) ma pochi accettarono per dignità, perchè avrebbero perso il grado militare e soprattutto aiutato quello che ora era diventato il nemico. Facile oggi fare moralismi e biasimare una o l’altra scelta ma il racconto quotidiano del Guareschi e’veramente crudo e a volte struggente: oltre alle privazioni vi fu anche la pressione psicologica da parte delle famiglie italiane che sollecitavano una firma di adesione per poi tornare in Italia: se uniamo questo particolare alle condizioni di vita estreme, agli appelli di “Voce della patria” testata filo-tedesca in lingua italiana che premeva per l’adesione alla RSI, a Mussolini che faceva giungere il messaggio “o lavorare o combattere”, a Badoglio che li definì “traditori”, al console generale italiano di Amburgo che nego’ sussidi umanitari in quanto gli internati “non meritano niente” e, non ultimo, alle false notizie in arrivo dall’Italia che riferivano che tutto era in ordine e si viveva bene capiamo che non fu facile resistere alla tentazione di cedere. Difatti il giorno 19 ottobre 1943 il Guareschi annota nel diario: “ Un maggiore e un sottotenente lasciano il Lager per raggiungere a Willhelmshafen il loro reparto di nebbiogeni che collabora coi tedeschi (sulle rive del Baltico opera il terzo battaglione nebbiogeni a protezione delle basi segrete della V1 e V2). A quelli che si affollano sul cancello il maggiore spiega:”vado a mangiare la pastasciutta”. Un colonnello grida “Viva il Re”. Poi opterà”. Un’altra nota del 18 novembre 1943: “ I repubblicani, ovvero i trentasei aderenti che hanno firmato la scheda di adesione e attendono di essere portati via, vivono separati da noi in una baracca ben riscaldata e mangiano doppia razione di margarina, minestra, uova, e fumano”. Nella nota del 14 gennaio 1944: “I novecentoottanta repubblicani sono stati sistemati in apposite baracche e hanno ricevuto un vitto speciale confezionato da una cucina speciale. Mangiano almeno il triplo di noi e nella tabella che viene ogni giorno esposta leggiamo di cose straordinarie: sigarette, miele, vodka, caramelle…” Si intuisce quindi che la lettera, il cui testo e’originale, venne scritta da uno di questi ufficiali che decisero di continuare a combattere a fianco del vecchio alleato, non sappiamo se per convenienza personale o per sincera fedeltà, ma sicuramente la fame deve avere avuto un ruolo decisivo nella scelta dato che anche in questa lettera come nelle precedenti note del Guareschi il vitto viene sempre menzionato. Alla compagnia “nebbiogeni”di cui faceva parte il capitano X venne assegnata la sorveglianza del lager di Auschwitz e le condizioni di vita a cui accenna (ambiente sano, vitto buono, un po’di divertimento), unitamente al fatto che comunque si trova in Germania e che indica il proprio reparto in tedesco, fanno pensare che si tratti proprio di un deportato che poi decise per l’opzione tedesca.

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