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Pur di non pagare la posta!
di Edoardo P. Ohnmeiss

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L'epoca napoleonica dei Dipartimenti italiani è famosa per la metodicità del suo servizio postale. Lo governava un regolamento ferreo e preciso, talché in Francia tutto funzionava alla perfezione.
In Italia furbi e "resistenti" andavano alla ricerca di scappatoie e si ingegnavano ad aggirarlo. Infatti la genialità dei cittadini spesso si metteva in moto per riuscire a "farla franca" ossia per non pagare le tasse postali. Vediamo, in base ad alcuni esempi, cosa fu escogitato per superare gli ostacoli.



1° caso - del 28 novembre 1811- lettera da MASSA a PARIGI

" Il signor Quintino Zeni, ex religioso, servitore umilissimo di Vostra Altezza li fa sapere che si è portato dal Ministro dì Lucca per ottenere il passaporto per ritornare in Romagna onde procacciarvi il vitto... Quel ministro si oppose dicendo che faceva bisogno ottenersi da Vostra Eccellenza (non più Altezza!) una speciale autorizzazione e solo allora mi avrebbe fatto il passaporto... "

L'astuto ex prevosto sa che una lettera diretta al Ministro degli Esteri italiano a Parigi (il noto Marescalchi) deve essere affrancata in partenza e che pertanto gli costerebbe 11 décimes. Allora egli escogita il trucco di intestare la missiva al "Ministro Generale dell'Impero" (Napoleone!) al quale ogni lettera deve pervenire non tassata, anzi assolutamente franca. Ed ecco che questa lettera, imbucata come scrive lo Zeni a "Massa di Carrara Stato Lucchese", viene appoggiata a SARZANA onde essere affidata al Corriere di Francia. Il quale, a gran velocità nonostante sia già pieno inverno, la reca a Parigi. Al verso, infatti, risulta il bollo d'arrivo Decembre-9-1811. Naturalmente la cosa non passa inosservata: lo dimostra il bollo hm del controllore centrale di Parigi, persona attentissima al quale nulla sfuggiva.

Ne riproduco la paraphe de vérìfìcatìon ricavandola dal libro della collega Michèle Chauvet, dell'Académie de Philatélie (pagina 191 della sua poderosa INTRODUCTION A L'HISTOIRE POSTALE).

Il controllore accetta la franchigia assoluta e passa la lettera al segretario di Napoleone. Costui avrà sorriso per il trucco ed inoltrato la missiva all'Eccellenza Marescalchi



2° caso - del 23 giugno 1809 - lettera da SAN MARCELLO a PISTOIA

"I Mer (Maires) di Cutigliano e Pupiglio vennero a questa Meria per prendere libri e carte dicendo di spettanza della loro Meria (Mairie). Non posso però tacervi che questa imbarazzante operazione recherà perdita alla nostra cassa e al più doveva farsi precedere da una copia dei vostri Arroti (sic!)...."


In altre parole, mancando degli specifici decreti per una consegna senza addebiti dei suddetti documenti, tutte le spese per i libri ed i moduli (carte) finiranno per essere esclusivamente a carico del Comune di San Marcello. Arroti è la "traduzione" toscana del francese Arretés.
Quindi l'arrabbiato sindaco che fa? Invece di affrancare la lettera, come sarebbe suo dovere quando si rivolge ad una autorità prefettizia, la consegna al Mastro della Posta dei Cavalli. Ma prima riporta al verso il danno subito:

2.
12.
4
 - Cutigliano
2.
7.
8
 - Pupiglio
5.
-.
-
ossia ben cinque lire perdute.

Il Mastro consegna la lettera al direttore postale di Pistoia, il quale provvede a bollarla "in arrivo" con il timbro nominativo semplice (e non con quello di "Porto Pagato"). Toccherà, semmai, al Sottoprefetto lamentarsi per il porto non assolto in partenza. Tuttavia costui, constatato il danno subito dalla Comune di San Marcello, lascia perdere. E così questa volta fu un Sindaco a "farla franca".



3° caso - del maggio 1813 - lettera di CITERNA (Perugia) a SAN SEPOLCRO

Qua siamo di fronte al passaggio da un Dipartimento (117 TRASIMENO) ad un altro (112 ARNO) e quindi la tassazione obbligatoria di una lettera, anche se scambiata fra Sindaci. La regolare procedura da seguire era la seguente: il sindaco di Citerna, una banlieue di Perugia, doveva inviare questa missiva “sotto fascia” all’ufficio postale perugino (in franchigia di Circondario); Perugia doveva bollare con il timbro nominativo e tassare per la II distanza (percorrenze da 50 a 100 Km) con 3 décimes. Indi inoltrare la missiva ad AREZZO, per lo scambio con San Sepolcro. Infatti a quella data Perugia non “corrispondeva” ancora con San Sepolcro, che diventerà ufficio autonomo di corrispondenza soltanto dopo il 1° gennaio 1814, con propri timbri a numero dipartimentale.

Domanda: come fece quella lettera ad arrivare a San Sepolcro? Si può avanzare soltanto un'ipotesi. La portò un incaricato o un amico del Sindaco di Citerna, per la cronaca: Innocenzo Caproni. E per evitare che il vettore finisse nelle grane, durante un controllo della Gendarmeria, il Caprone impresse sul frontespizio della lettera il suo timbro di identificazione, con l'aquila imperiale.

Sta di fatto che anche questa volta tutto filò liscio, in barba ai regolamenti francesi.

Vive l'Italie!
 
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