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la guerra di CORSA nel Mediterraneo

di Giuseppe MARCHESE

 

Corsari, pirati, bucanieri a sentire questi nomi giungono alla mente letture giovanili, Salgari, soprattutto. I fratelli della costa, il corsaro nero…. E navi, navi con enormi vele, spagnole per lo più che tentano di salvarsi con una salva di cannoni che avrebbero potuto distruggere una città.

La guerra che si combatte nel mediterraneo tra il XV e il XIX secolo è una guerra di religione in cui da una parte stavano i paesi cattolici o cattolicissimi: la Spagna, la Francia, l'Austria, Venezia, il papato, la religione gerosolimana, eccetera contro "i turchi" intesi come popolazioni del nord Africa (Tripoli, Tunisi, Algeri) sotto la copertura dell'impero ottomano.

Ma è anche una guerra di sopraffazione tra gli stati cattolici. Da questo punto di vista tutti avevano un'economia "corsara" sotterranea che tendeva a diminuire le capacità offensive dell'avversario del momento, ma anche di quello ipotetico futuro.

Quella descritta in questo articolo non è la guerra di corsa di grandi proporzioni; quella di decine o centinaia di galere che mettono a sacco le grandi città, ma la piccola guerra di corsa condotta da una o due barche, massimo tre, che bordeggiavano nei piccoli centri e si accontentavano delle piccole barche da pesca, dello sbarco in località isolate facendo man bassa di ciò che trovavano; alle volte accontentandosi di vele e remi del natante che non riuscivano, o non volevano, predare.

Raramente accade il grande evento. Il combattimento fra grosse navi di pirati e la cattura dell'intero equipaggio. Ciò che accade sotto i nostri occhi è la criminalità piccola, perché di questo si tratta, di gente che era "specializzata" nel rastrellamento del litorale.


Corsari e pirati


La guerra di corsa consiste in operazioni belliche esercitate da privati, con l'autorizzazione dello stato, a danno del naviglio nemico. La pirateria è l'esercizio della navigazione col fine della depredazione e del lucro privato.

Nel primo caso (corsari) occorre che ci sia "il nemico" da combattere. E' vero che per lungo periodo di tempo vi era una guerra dichiarata coi sultanati del nord Africa, e con la Sublime Porta, ma è pur vero che nei periodi di pace la pratica non si arrestava. Nel secondo caso (pirateria) nell'avere come unico scopo la depredazione indipendentemente della bandiera della nave.

In questa visione ha un ruolo preminente la guerra di religione e del vedere nell'altro un nemico, indipendentemente dalla dichiarazione di guerra, perché di una religione diversa dalla propria.

Erano corsare le navi che avevano l'autorizzazione del proprio stato alla guerra di corsa, e la possibilità di trovare rifugi sicuri e protezione dallo Stato o dal gruppo etnico che lo assiste. (1)

Erano, nello stesso tempo, pirati le navi che avevano come unico scopo la predazione di tutte le navi che giungevano a tiro, o addirittura il litorale, indipendentemente dalla bandiera e quindi della nazionalità.

A questo proposito ecco due testimonianze riprese da lettere dell'epoca:

Lettera da Vittoria 31 Maggio 1799, Nel testo:
"...è capitato in questo scaro delli Scoglitti Pn (padrone) Antonino Napoli, Palermitano, il quale ci ha manifestato, che nell'atto faceva ritorno da quell'isola di Malta, ed arrivato nel luogo chiamato ventimiglia puoco distante dalli Mazzarelli fu inseguito col suo brigantino da una Galeotta francese sotto il giorno di ieri verso le ore 15 circa, ed avendo la nazione francese scaricato quattro cannonate a mitraglia verso detto brigantino, fu costretto detto padrone, e marinari, prendere la fuga sopra il caicco per salvarsi, essendo la nazione (nave) francese preso la volta di Malta".


Malta era stata occupata dalle truppe francesi l'anno prima. Il re di Napoli e Sicilia, per salvarsi le chiappe, era fuggito in questa parte dei suoi domini, e la situazione era questa.

Si giunge, per noi, all'assurdo di non saper riconoscere gli amici dei nemici. L'amicizia era data soltanto dal fatto che non vi era nessun atto ostile palese.

Come è dimostrato dalle seguenti corrispondenze:

Lettera da Siculiana del 22 agosto 1798 col quale si comunica
"..che due speronare s'erano dati fondo nella foggia di mare del feudo della Salsa, una delle quali era quasi a terra, e l'altra in puoca distanza, per cui si spedirono subito da noi n.ro dieci persone bene armati le quali la sera stessa portarsi sopraluogo, trovarono le dette due speronare ancorate in quella foggia di mare in distanza come sopra. E quindi temendo le dette persone del disbarco che poteano fare con grave pregiudizio, incominciarono a fare fuoco colli scoppi e ciò vedendo le dette speronare presero la volta per ponente gridando contro le suddette Siciliani Cornuti e riferiscono che a dette parole le guardie riconobbero essere di nazione maltese".


Perché le due speronare maltesi abbiano cercato rifugio occulto non è dato sapere. Forse non avevano la patente netta; forse......

La girandola degli occultamenti prosegue con la bandiera di comodo: Lettera da Girgenti 30 luglio 1796 che dice
"Ieri diedero fondo nella punta di questo Real Molo due pinchi che provenivano da Ponente...e mi è stata questa (la patente di sanità) esibita e riconoscersi essere entrambi provenienti da Malta con libera pratica, con pieno di grano, che caricato aveano in Levante e prima di portarsi in Malta diceva la stessa patente aver purgato la quarantena nel porto di Messina., e che erano ottomani sebbene lo stendardo da loro alzato era gerosolimano....".


Ma anche i "nostri" potevano riservare sorprese. La lettera da Girgenti del 13 settembre 1804 riporta la notizia
"di essere uscite dal porto di Tunisi n. 15 galeotte...doveano anche mettersi alla vela altre tre galeotte, e che il 21 agosto una Fregata Spagnola avea scorto nel suddetto porto due sciabecchi anche spagnoli muniti di 32 cannoni per cadauno che armar si doveano con bandiera tunisina...."

Naturalmente anche gli spagnoli praticavano la guerra di corsa e il fatto che volevano navigare sotto bandiera tunisina doveva necessariamente dire che cercavano prede "del loro stesso sangue". Due sciabecchi da 32 cannoni avrebbero fatto tremare qualche città della Sardegna o di Napoli, o di Sicilia, e della stessa Spagna. Mai fidarsi delle apparenze !


I corsari nostrani


La pirateria di legni nostrani ha le due facce di esigenza di difesa della popolazione soggetta a ripetuti attacchi (specialmente le Isole Iolie, le Egadi, Trapani, Ustica) e la promessa di un bottino consistente, in cui era compreso anche la tratta degli schiavi.

Specialmente la seconda fu la molla che mise in piedi l'industria della pirateria nelle città siciliane.

Non vi è dubbio che fin quando non era concessa ai corsari la spartizione del bottino, la guerra di corsa ebbe carattere episodico.

Le maglie si allargarono a poco a poco e in questa fase persone che disponevano di denaro armarono in corso delle navi, dandole a persone ritenute abili, con patti stipulati presso notari in cui erano dettate le condizioni di armamento e della spartizione del bottino.

Infatti le prime licenze di corsa avevano una importante limitazione imposte dal viceré Duca di Feria "pueder armar y salir contra los dichos cossarios en la forma y manera que lo han hecho por lo passado sin incurrir por ello en pena alguda, advirtiendo que non han de alargarse saliendo fuera de la costa de Trapana y las islas circumvizinas de a quella ciutad y las del Monte y Marsala y con lo toccante al aprovechamiento y application de la ropa y baxeles y esclavos que en ellos se tomaran..." (2)

I governanti erano restii a concedere patenti di guerra di corsa per evitare che venissero commessi attacchi a navi neutrali o amiche. Infatti in un bando del 1596 veniva imposto ai capitani delle navi di "dare mentione con memoriale ed esprimere il luogo dove intendono mandare il vascello e la qualità d'arme homini vitto e l'armamento che tiene di bisogno... quelle che non daranno notizie incorreranno in pena di remigare per 10 anni nelle regie galere, essendo nobili in pena di scudi 1.000, ad arbitrio di S.E. (3)

La guerra di corsa era codificata da atti pubblici in cui la prima fase era l'autorizzazione dello Stato; il secondo le norme per la spartizione del bottino; il terzo l'aiuto dello Stato per rifornirsi di armi e munizioni.

Sul finire del XVII e per tutto il XVIII secolo occorrenza una patente di corsa che veniva data alle navi di bandiera che volevano fare "guerra di corsa" contro i nemici barbareschi. Nei secoli precedenti vi sono delle tracce che le concessioni fossero date con parsimonia e con restrizioni.

Era evidente la ritrosia dello Stato di concedere licenza di corseggiare sia per tema di azioni illegali tra le quali non ultime erano le preoccupazione di non poter controllare le azioni dei corsari.

Man mano che che le esigenze di difesa e offesa aumentavano le maglie si allargavano. Nel 1722 il Tribunale del Real Patrimonio dette licenza ai trapanesi di "abbiamo disposto che dobbiate far disporre l'armamento di galeotte felughe lunge o tartane o d'altre barche atte ad intraprendere il corso.. e venire a costeggiare seriamente li mari di questa capitale del regno... dichiariamo che tutte le prede che faranno così di Mori come di barche mercanzie et altre robbe siano tutte intieramente senza alcuna menoma deduzione acquistate alli marinari et padroni delle barche corsare s'armeranno con farli franchi del quinto della Reale Corte e diritti del Grande Almirante." (4)

Le condizioni imposte dallo Stato variavano a seconda della necessità e dell'intensità dell'offesa nemica. Nel 1749 venne concessa ai liparoti e ai trapanesi di armare navi in corsa alle condizioni:

"..farlo precisamente nelli mari e coste di questo Regno e della Barberia ad esclusione di dover andare nel Levante".

"Tutte le prese che faranno siano interamente degli armatori, con che però dalli schiavi che prenderanno debbansi separare quelli che saranno di buon servitio delle galere alfin di consegnarli all'istesse pagandosi dalla R. C. (Regia Corte) 45 ducati napoletani per ciascheduno";

"Che le quarantene, nel caso non saranno alla medesima ammesse nei porti del Regno, potranno farle nei lazzaretti di Malta";


"per ultimo se gli concedono per via di prestamo d'armi, monitioni e petre sic dicti di guerra che gli necessiteranno, da somministrarseli con la dovuta cautela nei reali magazzini di S.M. e toccanti alle galere che entreranno nei combattimenti";

"che sappi ognuno la sua continenza per animarsi ad attendere al detto corso, sopra il proprio vantaggio, anche per estirparsi i barbari Corsari dal nostro mare che han cagionato l'inquietudine di S.M." (5)

La esclusione del Levante è dovuta alla firma del trattato di pace con la porta Ottomana del 7 aprile 1740.

Stranamente viene concesso di corseggiare nella Barberia malgrado il trattato di Pace concluso il 6 Giugno 1741 col Bey Bassà di Tripoli. Il trattato del 1727 con la Reggenza di Tunisi evidentemente non era più in vigore.

Le modalità per la spartizione del bottino era spesso registrata presso un notaio, nel caso che l'armatore non concorreva direttamente all'attività, con circostanziata descrizione dei vari casi possibili.

Un'altro contratto notarile del 12.1.1544 del notaio Giovanni Gandolfo di Marsala, riporta la seguente spartizione della preda: Il bottino sarà diviso in tre parti: una all'armatore (tale Castaldo); una per il capitano (tale Barbara); e la terza per "li genti et officiali della nave". (6)

Oltre a questa spartizione "all'interno dell'azienda" ve n'era un'altra che spettava ad altre persone. L'ammiraglio comandante la flotta o il vice comandante aveva diritto a una "percentuale sugli utili".

In casi eccezionali era concesso di far guerra di corsa senza dover pagare questa "buona mano".

Infine l'assistenza di armi da fuoco e munizioni "di guerra" che era possibile ottenere dallo Stato.

Vascello per la guerra di corsa della fine del XVII secolo.



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01 - In una lettera da Palermo del 29.9.1741 su richiesta di come si doveva comportarsi in caso di barche corsare provenienti dalla Pantellaria viene detto: "In vista dell'esposto circa il dare pratica alle galeotte corsare quando procedono dalla Pantelleria, questo Supremo Magistrato ( di Sanità) mi ordina dirgli che le isole adiacenti devono reputarsi come il litorale del Regno medesimo onde potrà regolarsi in tutto e per tutto a norma degli ordini emanati. (Biblioteca Fardelliana, atti del senato di Trapani del 1741).
02 - Antonio Buscaino I Trapanesi nella guerra di corsa, La fardelliana, anno XIII 1994.
03 - Antonio Buscaino I Trapanesi nella guerra di corsa, La fardelliana, anno XIII 1994.
04 - Antonio Buscaino I Trapanesi nella guerra di corsa, La fardelliana, anno XIII 1994.
05 - Antonio Buscaino I Trapanesi nella guerra di corsa, La fardelliana, anno XIII 1994.
06 - Giovanni Alagna, Scibilia Nobili, ovvero schiavi e corsari nel mediterraneo, in Cultura Mediterraneo, Numero Unico Archeoclub d'Italia, sezione di Petrosino, 1984.

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