digressioni gastro - filateliche
a cura della
Brigata di Cucina del Postalista

onigiri
Giappone, 15 gennaio 2020, Yvert 9721
 
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Filatelia Tematica



L’allegra Brigata di Cucina del Postalista resta anche questo mese in Giappone per parlarvi di una specialità gastronomica che, secondo il poeta contemporaneo Ooka Makoto, pionere della forma di poesia collaborativa nota come renshi “...è il Giappone che stringi nel palmo della mano...”: l’onigiri.

Sbrigativamente catalogato, forse a causa della sua forma quasi sempre triangolare, come il “tramezzino dei giapponesi”, l’onigiri è in realtà un simbolo culturale profondamente radicato nell’identità, nella storia e nella vita quotidiana dei giapponesi.

Questa sorta di polpetta di riso bollito era già in uso nel periodo Heinan, a cavallo di quello che per noi europei è stato il fatidico anno 1000, ed è ampiamente attestato il suo uso come genere di conforto adatto a contadini, soldati e viandanti: un piatto completo, facile da trasportare e da consumare, addirittura senza nemmeno interrompere il proprio cammino.

Molto semplice la sua preparazione: il riso bollito, leggermente condito con sale e (pochissimo, a differenza del sushi) aceto di riso, viene pressato a formare una specie di triangolo intorno a un pezzo di pesce (oggi vanno per la maggiore il salmone e il tonno) grigliato, o a una prugna umeboshi per poi essere appoggiato su una foglia di alga commestibile che, opportunamente richiusa intorno alla metà inferiore dell’onigiri, favorisce il consumo senza sporcarsi le mani.

Oltre a quest’alga, denominata nori, venivano (e vengono) usate anche altre alghe (tsukudani) e uova di pesce (tarako), come sostituto o accompagnamento degli altri ripieni; ne esistono inoltre anche formulazioni speciali, destinate per lo più a cerimonie e festività. A volte la superficie esterna viene cosparsa di furikake: condimento secco costituito da semi (per lo più di sesamo), frutta secca tritata finemente, katsubuoshi (tonno essiccato) grattugiato, per dare più gusto al tutto.

Un cibo veloce, adatto anche a un picnic o alla merenda dei bambini che vanno a scuola, ma anche comodo da offrire come ristoro ad un ospite inatteso e senz’altro provvidenziale come genere di conforto nelle operazioni di soccorso a popolazioni vittime di terremoti (frequentissimi in Giappone), carestie o inondazioni.

Un cibo dunque che incarna agli occhi dei giapponesi il ricordo dell’infanzia, il senso della famiglia e gli ideali di ospitalità e solidarietà, tanto più che il riso, da sempre considerato un dono degli dei, assume nell’onigiri la caratteristica forma triangolare che evoca il profilo delle montagne, luoghi sacri dello shintoismo.

Un cibo, per finire, che ha saputo adattarsi anche ai grandi cambiamenti sopravvenuti dopo la Seconda Guerra Mondiale per la sua capacità di sposarsi con nuovi condimenti e che è a tal punto “democraticamente” apprezzato come pasto veloce da studenti, operai, impiegati e dirigenti d’azienda, da guadagnarsi addirittura un posto nella messaggistica, con un suo emoji dedicato.

Questo è l’onigiri, e il suo sapore, soprattutto quello dell’umeboshi, che è una prugna secca lasciata inacidire in una marinatura salata, lascia spesso perplessi i visitatori occidentali i quali, vedendolo affollare gli scaffali dei konbini, i piccoli minimarket che si incontrano nelle città giapponesi praticamente ad ogni angolo di strada, ne sono inevitabilmente attratti. Tuttavia, come dicevamo, è oggi facile trovare dei ripieni che meglio si adattano al nostro palato (tonno e maionese, uova sode, prosciutto cotto, e via occidentalizzando).

Inutile dire che l’allegra Brigata di Cucina del Postalista, una volta superata la sorpresa del primo morso a un umeboshi onigiri, adesso lo preferisce senza ombra di dubbio a quello (esiste anche questo, ahinoi) con wurstel e ketchup.

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