MEMORIE
di Antonio Rufini

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Memorie di un anziano collezionista di storia postale (CVI parte):

AZIENDE ITALIANE, LORO CORRISPONDENZE ED ALTRO
LA C.A.T.A.M.

Antonio Rufini

La mia più vecchia collezione (iniziata nel 1956, avevo 12 anni) è un pochino particolare ed anche un poco ingombrante; si tratta di “cucitrici a pinza” e “a pugno”; in quasi 70 anni ne ho raccolte poco più di 320; non ho mai iniziato a fare collezione di cucitrici da tavolo, nonostante io ne abbia conservate una decina o più e tutte particolari, non proprio usuali (vedere la mia memoria n° 18, 9/11/2021).

Il mio “incontro” con le cucitrici avvenne qualche anno prima allorquando accompagnai mia madre dal fioraio, in Via Santa Maria Ausiliatrice, per l’acquisto di un mazzo di fiori da regalare ed il fioraio, dopo aver ben composto il mazzo di rose legando prima con rafia e poi con carta argentata sui gambi, chiuse il tutto con un grande foglio di carta cellophane trasparente spillandone i lembi con una macchinetta metallica: con tre o quattro semplici “click” il cellophane sigillò i fiori.

Rimasi incantato da quell’oggetto nero che non capivo bene cosa fosse e desiderai averne uno anch’io, tutto per me, anche senza sapere a cosa potesse servirmi; mi piaceva quell’”objèt” e basta; ero bambino e non avevo denaro per me, ma se lo avessi avuto avrei voluto acquistare proprio quello.

Poi in seguito capii che quel marchingegno si chiamava semplicemente “spillatrice” e serviva per cucire assieme i fogli di carta, sia solamente “uniti” sull’angolo sinistro alto o anche “cuciti” a forma di “libretto”; per mio padre, impiegato di banca e per mia madre, segretaria di un famoso (allora) studio notarile erano dei semplici oggetti di lavoro quotidiano che nemmeno consideravano, facevano parte di tutti gli altri accessori ordinarti da scrivania come le penne tipo Biro, i blocchetti di fogli da appunti, le matite e le gomme per cancellare, le macchine da scrivere e da calcolo, la carta carbone, i timbretti con relativi tamponi e via dicendo; erano semplicissimi, normalissimi, ordinari oggetti di cancelleria.

Racconterò poco per volta come iniziai e continuai la raccolta delle spillatrici, al fine di non annoiare.
Storicamente parlando, in Italia nello scorso dopoguerra i “veri” fabbricanti di spillatrici degni di codesto nome sono stati sei: Balma & Capoduri, Fratelli Maestri, Leone, Mondial Lus, C.A.T.A.M., ELLEPI (1) ma s’è accostato a codesto settore merceologico, molto difficile, anche qualche altro piccolissimo produttore, prestissimo spartito dal mercato, perché “produrre” (per coloro che siano pratici di piccole lavorazioni metalliche) è facile, il difficile, poi, è avere una distribuzione commerciale e vendere……...
Dato che possiedo diverse corrispondenze della C.A.T.A.M. ed anche varie spillatrici, dedico questa memoria proprio a questo produttore, iniziando con un oggetto di Storia Postale un po’ vecchiotto:

La CATAM S.p.A. con sede in Via del Lazzaretto, 25023 Gottolengo (BS) e Codice Fiscale 00282690171 venne costituita il 21/5/1977 con scopo sociale la costruzione di articoli tecnici di acciaio e metalli vari; è stata cancellata dall’Ufficio del Registro delle Imprese di Brescia il 23/9/2003, dopo la liquidazione (Liquidatore Zacco Angelo, ex Amministratore Unico, nato a Gottolengo nel 1939) e la dichiarazione di fallimento (curatore Landolfi Giovanni di Brescia), con cessazione materiale di attività il 7/3/1996); aveva capitale sociale, prima dell’introduzione dell’€uro, di Lire 500.000.000.=; quando era in piena attività la CATAM S.p.A. aveva 50 lavoratori dipendenti e 3 collaboratori (compreso l’Amministratore) e tale fatto sussisteva alla data del 31/12/1984, era quindi una “media industria”.
Possiedo corrispondenze della CATAM S.p.A. degli anni ’80, ma di quel periodo ho solo una cucitrice a pinza, quella qui appresso dopo la seconda e terza testimonianza di suoi oggetti di Storia Postale:

Le cucitrici a pinza (solo codesto tipo e quelle “a pugno” ho continuato a collezionare) che sto per mostrare erano ben fatte e robuste, molto resistenti allo stress d’uso; nulla a che vedere con certi prodotti dozzinali, provenienti dall’estremo oriente e molto economici (quelli per punto 64: massimo 7 o 8 €uro di costo) che è sufficiente che cadano a terra e non spillano più, perché si disallineano la “ghigliottina”(2) ed il “ribattitore”(3); motivo: sono tenuti “in sito” e paralleli da un solo perno passante ribattuto.(4) Nulla posso affermare sulla durata degli smalti; ignoro se fossero a polvere (poi cotti) o alla nitro; le mie cucitrici che di seguito mostrerò <parenti strette dell’unica mia CATAM, come tale punzonata>) le ho usate e le uso un pochino solo per manutenzione periodica e non per il lavoro giornaliero; le ho oltretutto conservate, quando ho potuto, in scatola di confezionamento originale di cartoncino (scartando le confezioni in plastica trasparenti <belle ed eleganti per l’esposizione nelle cartolerie> ma spesso in PVC, inadatto alla lunga conservazione, come spiegherò più avanti).
E le cucitrici le lascio in collezione “scariche”, senza “striscia” interna di punti, per paura di qualche ruggine causata dal “giunto” metallico di punto e binario su cui scorre (con ruggine garantita).
Prima della prossima foto di cucitrice, come anticipato, un’altra scansione di corrispondenza della CATAM A S.p.A.:

Mostro di seguito l’unica mia cucitrice a pinza della CATAM; è di forma la più originale tra tutte quelle (italiane) che possiedo, molto particolare (una vera “pinza”, quindi essenzialità pura); la acquistai in Roma, cosa che sta a significare che la produzione della CATAM S.p.A. venisse distribuita non solo in Lombardia, ove era il suo opificio, ma anche nel resto d’Italia.
Ad inizio degli anni 2000 mi interessai di scoprire da vecchi gestori di cartolerie in Roma (Vertecchi, Cartoleria Pantheon, Antica Cartoleria di Piazza dei Caprettari e Cartolerie Internazionali) quali fossero stati gli Agenti di Commercio che avessero curato la vendita dei prodotti CATAM, al fine di avere da essi delle delucidazioni sui prodotti della CATAM S.p.A., ma la ricerca fu infruttuosa, non ebbi notizia alcuna.


Nel 1956 si verificò il fatto “iniziante” per la mia personalissima raccolta di cucitrici: mio zio materno, il quale si occupò fino al suo pensionamento per l’acquisto di prodotti di cancelleria per il suo grandissimo datore di lavoro (inizialmente la Telefonica Tirrena S.p.A. – TE.TI., la quale aveva fin dal 1924 la concessione del servizio telefonico per le regioni Liguria, Toscana, Lazio e Sardegna + la zona di Orvieto, concessionaria poi confluita nella S.I.P. S.p.A. di Torino, successivamente fusa nella TELECOM ITALIA S.p.A.) consegnò a me e mio fratello due diverse cucitrici a pinza fabbricate dalla “Romeo Maestri e Figli S.p.A. – RO.MA.” di Milano e con una buona scorta di confezioni di punti: ci incaricò di usarle per saggiarne la robustezza sapendo che noi ragazzini eravamo due maneschi irruenti, molto “rompitutto”.
Mio zio riferì che gli impiegati TE.TI., suoi colleghi, lamentavano il fatto di dover cucire (cioè spillare) i fogli di carta proprio con le spille che comprava per tutti gli Uffici dipendenti e a chili (ne ho conservato una scatola da gr. 250 a marchio “Leone”(5) forse della Molho Leone); così io e mio fratello abbiamo fatto da collaudatori de facto e quelle cucitrici erano veramente robuste, tanto che ce le ho ancora oggi e perfettamente funzionanti, a 70 anni data……..

Il “test” fu quindi positivo e suppongo che poi mio zio acquistò molto di quel materiale e proprio da quel produttore milanese; a me rimasero le due cucitrici delle quali, chiaramente, io e mio fratello con gran cura distruggemmo però le relative scatole di cartone: quelle due cucitrici (una cromata e l’altra smaltata nera) furono l’embrione della mia collezione.
Dopo le prime due “Maestri” mio zio mi regalò anche una austriaca SAX e due americane anteguerra (Marxwell Mnfg Co. e Swingline), oltre a qualche cucitrice da tavolo, varie vecchie punzonatrici a due fori per raccoglitori ad anello tipo Leitz (all’epoca i fori erano combinabili, per due misure di distanze tra i fori stessi) ed un paio di leva spunti; così, con cinque cucitrici “ben nascoste” e con la collezioncina sui generis da incrementare arrivai al gennaio 1968, allorquando non ancora laureato iniziai la pratica in un celebre Studio del centro storico della mia città e il giorno che, per caso, capitai con la mia Vespa-Piaggio nella sede della Buffetti, in Via di Paola, iniziai ad acquistare altre cucitrici a pinza.

Nella libreria di Via Due Macelli della Stamperia Nazionale trovai una cucitrice della tedesca Skrebba; 10 anni dopo, nello stesso negozio ne acquistai un’altra (stessi produttore, modello e nome del prodotto) ma non più tutta di metallo: ne era stato sostituito in plastica qualche particolare importante.

E poi: via così fino ad oggi: eccomi con più di 300 “figlie”! Anche con l’accumulo di relativi analoghi “togli punti” e confezioni complete (scatoline) di punti vari per tutti i tipi di cucitrici.
Le cucitrici, coi loro ingombri e pesi, mi hanno convinto che per fare il “collezionista” non occorrano troppi denari (raramente una cucitrice nuova da “battaglia” arriva a costare 10 €uro, una di qualità non supera i 25 €uro, cioè quanto “frittini, pizza e birra” in trattoria per una persona) ma per collezionare necessitano tre “prerequisiti”: la “costanza”, il “posto” a disposizione e la “disponibilità” dei congiunti. Sono tutte cose che per mia fortuna non mi sono mai mancate: a) la costanza me l’ha inculcata mio padre il quale convinse me e mio fratello (anch’egli grande collezionista) che una collezione debba farsi per minimo 30 anni, foss’anche di cose modestissime (ci indicò come esempio tipico le confezioni di “stuzzicadenti”) perché in 30 anni si ha poi in mano la storia, la visione, la vita di un singolo prodotto in un dato periodo e la collezione diventa una “universalità patrimoniale”, così non si è gettato via né tempo né denaro; b) poi non ho mai avuto problemi di spazio in casa (o un box per autovettura o una seconda casa, magari al paese) dove concentrare o nascondere le mie cosette; c) non posso lamentarmi della disponibilità dei familiari; i miei genitori erano ultra tolleranti; mia moglie è accondiscendente e anzi varie mie collezioni me le ha perfino “espropriate” (lanterne non elettriche, ferri da stiro non elettrici, rasoi da barba, maschere etniche) esponendosele in casa senza pudore e spacciandole per “cose sue, anzi <nostre>”, tanto che se sta entrando da noi qualcuno che in casa nostra non sia mai entrato, i miei cognati (hanno la porta di casa loro a 6 metri dalla mia) dicono e non so decidermi se lo facciano per prenderci per i fondelli o per invidia “…..prego, entrare pure nel Museo Rufini……”.
Temo di aver un poco “deragliato”, quindi m’arresto e rientro nel “seminato”.

Il fatto particolare è che possiedo altre cucitrici che parrebbero modelli meccanici della CATAM ma su di esse c’è un nome diverso del costruttore che a me sembrerebbe proprio lo stesso acronimo di CATAM, ma è scritto al contrario, un bellissimo palindromo: MATAC. Alcune indicazioni sono rilevabili da una scatoletta di cartone della confezione (denominazione del costruttore, una S.r.l. ma senza indicazione della sede); le mostro di seguito intercalandole con altre scansioni di corrispondenze della CATAM S.p.A..





Esiti della ricerca sulla MATAC: forse è da anni cancellata dall’Ufficio del Registro delle Imprese. Con denominazione MATAC ho scovato più di una dozzina di imprese (anche in Roma) ma tutte con oggetto sociale “carni” (produzione o commercio) e col codice ATECOFIN congruente: nulla a che “spartire” col produttore di oggetti di cancelleria metallica. Per accertare compiutamente i fatti occorrerebbe una visura “cartacea” specifica (ne tratterò più avanti).
Mi sono, poi, trovato davanti ad un altro fatto estremamente curioso: scovai in vendita, in varie cartolerie della mia città (inizio anni 2000), varie cucitrici che mi sono sembrate immediatamente di possibili imitazione della produzione CATAM, anzi più precisamente della MATAC, ma con un'altra denominazione del produttore, cioè “BETAM” (con due sedi anche nella Provincia di Milano). .
Delle quattro (trovate a marchio BETAM) due sono similissime, praticamente uguali alle MATAC, se non fosse per la sostituzione di alcuni particolari: invece che metallo cromato fu usata la plastica.
Nella parte superiore delle prime due Betam: plastica dura nera; poi: tolto il ribattitore movibile (quello per l’opzione di punto aperto o chiuso che c’era nella MATAC) ma con la ralla elastica sul perno centrale per il movimento della pinza. E chiaramente le forme, il disegno delle prime due che mostro sotto portano ad un’unica conclusione: sembrano uguali alle MATAC, con qualche ininfluente diverso particolare di lavorazione, quasi che le dime per la tranciatrice e le bordatrici usate per i lamierini, nella fabbricazione, fossero state le medesime.
Eccovi le predette prime due cucitrici BETAM (cioè quelle simili alle MATAC) con foto complete dei due lati ed intercalate da altra corrispondenze della CATAM S.p.A.:



Della BETAM 8 ne acquistai due e non ricordo più il perché dato che di solito acquistavo una sola cucitrice per “tipo” e senza tener conto del colore: mica facevo il cartolaio e dovevo avere una campionario di colori per le clienti esigenti che pretendessero di “scegliere”!
Questa che mostro, quindi, è il mio vecchio doppione forse messo in collezione decenni or sono per semplice mio errore o forse no (leggere le didascalie).
In somma ecco la BETAM 8 color rosso qui appresso e fotografata dal solo lato sinistro (inutile l’altro) e la “curiosa” parte superiore:



Ho fatto una piccola ricerca sulla BETAM, eccovela:
a) La BERTAM S.N.C. DI PAGLIARI ALBERRTO E C. ha sede in 25021 Bagnolo Mella (BS) Via Leno 23, codice fiscale 02743190981 e capitale €uro 40.000,00.=;
b) È un’impresa artigiana costituita il 23/2/2006 con due soli addetti (non dipendenti) nel 2018 aveva attività di “stampaggio del ferro in genere”; ebbe un’unità locale (ufficio con deposito o magazzino) in Bagnolo Mella Via G. Tovini 19) aperta in data 3/4/2007 e chiusa il 13/8/2008 (commercio all’ingrosso di articoli di cancelleria); autorizzazione all’esportazione dell’Agenzia delle Dogane BSE02997T del 21/1/2013;
c) sono Soci Amministratori Pagliari Alberto (socio lavoratore) e Albertini Valeria
d) il 3/4/2007 con atto Notaio Camardella di Brescia del 3/4/2007 la Betam A. E B. (cod. fisc. 00387340177) ha ceduto la sua azienda alla BETAM S.n.c. di Pagliari Alberto e C..

Non sono riuscito a scoprire se nell’azienda ceduta ci fossero brevetti, disegni, marchi e macchine per la lavorazione dei metalli quindi per la costruzione di cucitrici ed oggetti di cancelleria; leggere, però, le mie precisazioni prima della chiusura di questa memoria; non ho nemmeno scoperto quanti lavoratori dipendenti possa avere o avere avuto la Betam S.n.c., dato che per fabbricare cucitrici ed altro non bastano mica solo due soci (lavoratori).
Termino con l’ultima corrispondenza in mie mani della CATAM S.p.A. ed è anche la più vecchiotta (di più di 40 anni fa):


Qualche mia precisazione e considerazione: a) le ricerche storiche possibili le ho realizzate con visure presso gli Uffici dei Registri delle Imprese competenti (due: le C.C.I.A.A di Brescia e Milano); ma per accertare altre cose avrei dovuto fare accesso agli archivi storici di microfilm e forse dei fascicoli cartacei delle rispettive Cancellerie dei Tribunali le quali, fino al 1995 a norma del vecchio Codice di Commercio del 1865 curarono il deposito di tutti gli atti societari (art. 100 delle Disposizioni Transitorie del Codice Civile, in vigore dal 30/4/1942), atti poi conferiti alle C.C.I.A.A..

Ma, in somma, avrei dovuto andare in “loco”; a Milano ci sono stato negli ultimi 30 anni e per lavoro almeno 15 volte, ma sempre col cuore in gola per la fretta di riprendere il Freccia Rossa o l’aereo già prenotati per il rientro a Roma; ed una visura <cartacea> cioè dei vecchi documenti della Cancelleria Commerciale del Tribunale abbisognava minimo di una mezza settimana di ricerca e lettura; a Brescia ci sono stato solo due volte ed entrambe per due venerdì-sabato-domenica (gare di nuoto di mia figlia Carla) senza tempo per andare in C.C.I.A.A. che, forse il sabato, poteva anche essere <chiusa>.
Non mi rimprovero nulla: andò così; punto e basta.

Se talun lettore sappia più cose e dati di me su CATAM, MATAC e BETAM (magari per aver con esse operato o collaborato, anche come lavoratore dipendente oppure come “piazzista” o “agente” o semplice “venditore” porta a porta) mi scriva pure (rufini44@libero.it) così conoscerò meglio le storie dei produttori qui trattati e, se il caso, provvederò ad implementare questo mio articoletto.

Temo d’aver realizzato una memoria “scompensata” con 7 soli oggetti di Storia Postale ma ben otto foto di cucitrici; dette foto le ho realizzate personalmente e artigianalmente, montando sul cavalletto la mia macchina elettronica Nikon: i lettori dovranno accontentarsi di ciò che sono……..

 

NOTE:

1 – “Balma Capuduri & C. S.p.A.” , produttrice delle cucitrici “Zenith” e della colla bianca “Coccoina” lo scorso anno 2024 ha raggiunto il centenario di vita e ad essa il MIMIT ha dedicato un francobollo commemorativo italiano (17 ottobre); la “Fratelli Maestri & C. S.p.A.” il centenario l’ha compiuto lo scorso anno 2019; la LEONE (“Archè Molho Leone S.r.l.”) è tutt’ora attiva ma forse potrebbe aver trasferito l’opificio fuori dell’Italia. La “Mondial LUS S.p.A.” di Saronno ha cessato l’attività una decina di anni or sono e la stessa cosa fece la “ELLEPI S.r.l.”, nonostante i prodotti di cancelleria di entrambe fossero ben distribuiti, noti ed apprezzati; però dopo l’entrata della Cina nel W.T.O. suppongo che non abbiano potuto tenere il confronto coi prodotti cinesi a bassissimo costo e importati a valanga in Italia (un vero tsunami). La storia del sesto produttore post seconda guerra mondiale, cioè la CATAM e del suo palindromo MATAC nonché del suo “simile” BETAM sono contenute in questa mia personalissima memoria, come sopra.
2 - la “ghigliottina” o “mannaia” è un piccolissimo rettangolo, sottile e di acciaio temperato, poco visibile perché all’interno del corpo/macchina nella parte anteriore: premuta dalla pinza è deputata a spingere il singolo punto metallico (prelevato da una striscia di punti) sulla carta fino a penetrarla; il suo funzionamento è “a leva” di primo tipo, vantaggiosa per la mano dell’utilizzatore che stringe la cucitrice e tale da poter far forare anche più di 30 fogli assieme (ma a seconda della misura, dell’altezza del punto usato).
3 . il “ribattitore” è la parte metallica (in acciaio resistente, forse al nichel-manganese o molibdeno o tungsteno o atra lega durissima) che è deputata a piegare su sé stesso i punti, spinti dalla ghigliottina e fuoriusciti dalla carta.
4 – Le cucitrici economiche hanno un solo perno ribattuto sul quale ruota il meccanismo della pinza; quelle più costose hanno anche 4 perni; per queste ultime, chiaramente, i prezzi variano, aumentano. Non tutti i prodotti provenienti dall’estremo oriente sono di qualità modesta (ma economici); dal Giappone, da Taiwan e dal Vietnam provengono ottime cose, ma costose come le migliori italiane ed europee; dall’India vengono importati prodotti che sono “così-così”; dalla Cina provengono non solo prodotti economici (però scarsi in qualità) ma anche ottime cose: per esempio in Hong Kong un produttore (Lee Tack Stationery) produce o produceva una buona cucitrice (la Letack 3666 L), molto ben fatta, vederla qui appresso in foto:

ma il suo prezzo è quasi pari ad una omologa italiana Zenith……..; con la differenza che la Letack non ha (comunque non ha avuto) assistenza post vendita, mentre se vengono smarrite o danneggiate una “ralla elastica ferma-perno” o un perno passante o un’asta spingipunti o un binario portapunti della Zenith basta chiederli al produttore direttamente (allegando i francobolli per la risposta o pacchetto) o tramite la rete di vendita, per averli presto in mano (quasi spesso gratuitamente) perché i prodotti Zenith hanno avuto ed hanno assistenza “a vita”!
5 – La scatola con quasi tutto il suo contenuto non è andata distrutta, ce la ho ancora, nascosta in mansarda; vedere le mie foto amatoriali qui appresso. E i pochi spilli che mancano (una manciata) li abbiamo usati nel 1962 su di una tavoletta di abete io ed un compagno di classe di Liceo (Sergio Ippolito) per tenere in “sito”, sopra il disegno del progetto e prima dell’incollaggio ma fermando inchiodandoli con le spille a coppia, i longheroni e le centine in legno di balsa di un grande modello di aereo volante con elica azionata ad elastico, la cui leggera struttura venne poi ricoperta di carta velina giapponese color rosso chiaro. Cose d’altri tempi; oggi si acquistano, già pronti all’uso, aerei volanti a motore e telecomandati, ma anche droni telecomandati fantastici, in plastica e metallo e anche con 4 o più motori elettrici, droni forniti perfino di piccole webcam.

6 Anche il “mondo dei punti” per spillatrici è proprio un mondo, con varietà, casistiche, leghe usate e misure secondo il sistema internazionale M.K.S. e anche misure in centesimi o frazioni di pollice; i produttori mondiali sono stati quasi un centinaio. Riporto, per comodità dei lettori, uno specchio riassuntivo delle varie misure di punti per spillatrici (precisando che i vari “tipi” vengono impiegati anche per le cucitrici da tavolo):

e si tratta di una tabella destinata agli “specialisti” di cucitrici e punti metallici, praticamente ai
soli cartolai “veri” ed esperti e a pochi altri (costruttori, grossisti ed Agenti di Commercio di tali
prodotti).
7 - Suppongo che oggigiorno non sia prudente, per i datori di lavoro con impiegati/e addetti agli uffici, far usare il “punto aperto” in quanto passando velocemente i polpastrelli o i palmi delle mani o i dorsi sul punto aperto qualche impiegato/a potrebbe farsi la “bua” perché proprio il punto aperto, nella parte “aperta” cioè piegata all’infuori, è tagliente eccome! Quindi in sede di acquisto di cucitrici, ma solo quelle da far usare ai lavoratori dipendenti, penso che sia prudente scegliere le sole cucitrici a punto chiuso fisso. S.e.&o.

a dicembre

Antonio Rufini
16-09-2025

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