MEMORIE
di Antonio Rufini

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Memorie di un anziano collezionista di storia postale (XCVIII parte):
AZIENDE ITALIANE, LORO STORIE, CORRISPONDENZE ED ALTRO – L’ACEA DI ROMA
Antonio Rufini

Ho tralasciato da un po’ di tempo di ricordare Aziende italiane, con loro corrispondenze, ma riprendo da questa memoria con l’ACEA di Roma (ex Azienda Comunale ed oggi S.p.A.).

Allorquando mancano i denari, le finanze per realizzare qualcosa, noi romani sintetizziamo con un detto popolare unico “……non c’è polmone per gatti……” che si iniziò ad usare dopo che l’illuminato Sindaco di Roma Ernesto Nathan (1845-1921)(1) cancellò dal bilancio comunale la spesa per l’acquisto di polmone di animali macellati, usato per sfamare i “gatti” randagi del Colle Capitolino; ma il Sindaco Nathan ha lasciato a noi concittadini anche altro.

Fin prima del 1900 l’energia elettrica in Roma veniva prodotta e distribuita, chiaramente a pagamento ed in regime di monopolio, da una Società Anonima, la S.A.R., ma la giunta del Sindaco Nathan, nella quale ricopriva la carica di Assessore ai Servizi Tecnologici il pavese e docente universitario (laureato in Giurisprudenza ma professore di Economia Politica) Giovanni Montemartini (1867-1913) decise la produzione di energia elettrica “in proprio” mediante l’istituzione “ad hoc” di un’Azienda Municipalizzata, principalmente col fine della fornitura di elettricità al Comune per l’illuminazione notturna della città, per il funzionamento dell’Azienda Comunale delle Tranvie e per la vendita ai cittadini.

Venne così costituita la A.E.M. (Azienda Elettrica Municipale) che ebbe in dote la Centrale sulla Via Ostiense (fuori dalla cinta daziaria di allora) che iniziò a funzionare nel 1912 e nella quale l’elettricità veniva prodotta da turbine a vapore e giganteschi motori marini tipo diesel.(2) Successivamente, oltre alla predetta centrale termoelettrica venne anche costruita, per uso della stessa A.E.M. una seconda centrale di produzione idroelettrica a Castel Madama (1920)(3)

Dopo un referendum pubblico del 1909 venne anche municipalizzata la distribuzione in città dell’acqua potabile, che prima era in “concessione” all’Acqua Marcia (espropriata dal Comune di Roma) compresa l’Acqua Vergine; c’è un perché io abbia qui fatto questa aggiunta: i Governo del Regno d’Italia nel 1925 reputò che la gestione della Capitale non potesse essere lasciata nelle mani della politica, di amministratori eletti dal popolo (anche se fossero fascisti!) così fu abolito il Comune di Roma ed istituito il Governatorato controllato dal Governo centrale italiano; conseguentemente l’A.E.M. venne trasformata in Azienda Elettrica del Governatorato (A.E.G.) nel 1926; poi, dato che il Governatorato di Roma le affidò anche la gestione di acquedotti e la distribuzione idrica nella città la denominazione mutò in Azienda Governatoriale Elettricità ed Acque (A.G.E.A.).

Nel 1945 venne abolito l’Istituto governatoriale e ricostituito il Comune (con organi elettivi e Sindaco), quindi l’Azienda riprese la denominazione di Azienda Comunale Elettricità ed Acque (A.C.E.A.).
Mostro a questo punto i marchi d’impresa di cotanta Azienda (oggi di importanza, di rilevanza nazionale) che però non compaiono nel “Museo del Marchio” Italiano e non so perché;(4) i “loghi” sono cambiati 5 volte in 30 anni, pessimo esempio di mancata stabilità e continuità nel tempo:























I lettori de IL POSTALISTA si saranno di certo accorti che compulsando analiticamente, forse anche criticamente le corrispondenze di questa Azienda, distanti anche decenni le une dalle altre, si scoprono tantissime cose, tantissimi cambiamenti sia tecnici che tecnologici che di normativa e non solo postale ma anche fiscale; ci si domanda perché, per esempio, gli invii incollati di fatture commerciali non venissero assimilati a corrispondenze “chiuse” e come tali venissero maggiormente tassate(8): ma è proprio questo il bello della Storia Postale, scoprire tante cose “a posteriori” e farsi domande, cercare risposte, controllare, investigare, proporre soluzioni accettabili: un mondo fantastico nel quale non mi sono mai pentito di essere entrato!
Ci sarebbe, da ultimo e proprio “in coda” da chiedersi con quale criterio le corrispondenze dell’A.C.E.A. venissero distribuite parte con le Poste nazionali (prima ministeriali e poi S.p.A.) e parte mediante Agenzie private: poteva trattarsi di semplice scelta economica (cioè piccolissimo, infinitesimo risparmio per ogni fattura spedita ma moltiplicato per migliaia di invii e per 4 o 6 volte l’anno: costava di più la Posta ministeriale o un’Agenzia privata?) oppure, ai tempi della “contestazione” (anni ’70 e ’80) si trattava ed oggi di tratta di praticità, affidabilità, sicurezza e velocità di consegna?(9) Preciso che ai sensi dell’art. 21 comma 8 della Legge I.V.A. (D.P.R. 26/10/1972 n. 633) il cedente non poteva (e non può nemmeno oggi) addebitate ai cessionari le spese per l’emissione delle fatture e dei conseguenti adempimenti e formalità (quindi anche le spedizioni con relative spese postali e, attualmente, l’eventuale costo della fatturazione cosiddetta “elettronica”).(10)
Due foto (la satellitare e la successiva n° 29) le ho prese da Googlemaps quindi immagini condivise per motivi di studio con finalità anche didattica esercitata non a fine di lucro.

 
NOTE:

1) – Repubblicano, anticlericale e massone, di origini ebraiche e creatore del primo Piano Regolatore di Roma; mio padre e mio nonno parlavano del “vecchio” Sindaco sempre in termini entusiastici quasi fosse un “salvatore” della Patria ed erano anche convinti, oltre ogni ragionevole dubbio e non so da cosa traessero codesta convinzione, che fosse il figlio (illegittimo) di Giuseppe Mazzini. Il fatto strano è che anche l’altro mio nonno (quello materno, 1880-1970) che non era un romano di Roma aveva la stessa convinzione! Per mia memoria nelle rispettive famiglie paterna e materna si parlava “bene” solo dei Sindaci romani Nathan e Filippo Cremonesi e sorvolo cosa potesse pensarsi, parlarsi, degli “altri” ad iniziare da quelli del dopoguerra. Al vecchio Sindaco Ernesto Nathan il Comune di Roma ha intitolato negli anni ’50-’60 una strada in Zona Pian due Torri tra Via della Magliana e Via della Magliana Nuova.
2) La Centrale elettrica, intitolata al Montemartini, già dell’A.C.E.A. è stata dismessa nel 1963 dopo 50 anni di funzionamento ma non è stata modernizzata: in primis perché la produzione (con tanto di carbon fossile) ormai veniva fatta non più “fuori porta” ma all’interno della città cresciutale attorno a seguito dell’espansione edilizia, poi perché l’ammodernamento non risultò economicamente conveniente o forse tutta la centrale era troppo piccola. Comunque la proprietà di macchinari e fabbricati era del Comune di Roma, così, trascorsi 30 anni, il tutto è stato (dal Comune di Roma) musealizzato. Sì, sono stati conservati evaporatori, turbine, alternatori e motori diesel giganteschi e all’interno della centrale è stata trasferita parte importante delle opere d’arte antiche di proprietà comunale (per esempio alcuni celebri grandi marmi: “Togato Barberini”, “Vittoria dei Simmaci” e “Venere Esquilina”; vedere qui immediatamente sotto):

opere di fama non solo romana ma nazionale le quali, se prestate per qualche mostra, diventano d’emblée le “regine” dell’evento, monopolizzano l’interesse dei visitatori ed abbisognano di guardiania continua contro involontari/volontari danneggiamenti o piccoli atti vandalici del tipo “strusciatine con nani sudice” o “scritturine e date ricordo”. Così l’intero complesso dell’ex centrale elettrica è stato destinato ad una sorta di “succursale”, visitabile, dei Musei Capitolini (ingresso gratuito per gli over 65 anni). Sulle tre opere delle foto qui sopra mi avventuro nel giudicarne una sola, la Venere Esquilina: certo ed è ovvio senza braccia può gareggiare solo con la Venere di Milo (al Louvre di Parigi) o la Venere Landolina (a Siracusa) che è perfino senza testa mentre non può confrontarsi e competere con la Venere Palatina o la Italica o la dei Medici o la Farnese o la Cnidia, tutte statue (non mutilate) divinamente realizzate e di notorietà mondiale. Comunque, per dirla in gergo romanesco (da strada) la Esquilina “jela ammolla de brutto” anche se è relativamente “piccola” (altezza cm. 155 compreso basamento)! Il Museo della Centrale Montemartini così come concepito è unico al mondo e non ha competitori. Aggiungo: in Italia la Centrale Montemartini è stata la prima centrale elettrica “pubblica”, ha fatto da “apripista”, da avanguardia, un esempio ed un campione imitabile e poi imitato da altre grandi città italiane. Noi romani (cittadini e autorità cittadine), nonostante i tanti nostri difettacci storicamente famosi, come se fossimo in un’aula di scuola siamo riusciti, qualche volta, non sempre comunque non attualmente, ad essere i primi della classe; non siamo stati poi così “……’acci” come si possa credere; sono la letteratura, la stampa, il cinema, la televisione, il teatro-cabaret-satira che maliziosamente ci disegnano “così” e spesso, per coloro che ci denigrano a priori, sotto-sotto dovrebbe esserci anche qualche problemino irrisolto d’invidia! S.e.&o.
3) La municipalizzazione della produzione di elettricità non fu “indolore” dato che alla “Anonima S.A.R.” il Comune di Roma fu costretto a pagare l’indennizzo di “esproprio”, costoso.
4) Oggi se non si dice “LOGO” o logotipo non si viene compresi; i più non capiscono che “logo” è la figura grafica che rappresenta un’azienda.
5) Su certi “inviti al bene ecologico supremo”, sui “messaggi biblici ambientali”, sui “suggerimenti per come salvare la Terra” e sugli “allarmi green” ed il “green deal” sono stato e sono sempre scettico. Al cittadino, all’utente e al consumatore accorto e “civilmente responsabile” codeste avvertenze sono inutili e non servono, dato che non spreca né acqua né corrente elettrica e non abusa di gas per il riscaldamento, non getta le cartacce per strada e fa la raccolta differenziata di vetro, metalli, rifiuti umidi, plastica, carta e cartone; gli “insensibili” ed i “civilmente barbari” codeste avvertenze non solo non le leggono ma se casualmente lo fanno non le capiscono, ci sorridono sopra, le ignorano e se ne infischiano bellamente. Quindi a cosa servono i messaggi “pro ambiente” se non ad auto-illudere chi li propone ed a sciupare risorse per crearli e distribuirli? Se da una parte sono superflui, dall’altra sono sterili e costosi, ma aggiungasi anche: una perdita di tempo! Sono da decenni dell’dea che buona parte di coloro che propongono i messaggi ecologisti facciano dell’auto-bullismo per dimostrare agli altri di essere, essi, moralmente ed eticamente “superiori”: ma sono gli stessi che poi da decenni circolano a bordo di S.U.V. e Pick-up giganteschi spinti da motori diesel che distribuiscono nell’aria “particolato” a chili ! S.e.&o. <per la seconda volta>
6) A riconsiderare le “privatizzazioni” imposteci dall’Unione Europea, oggi, col senno di poi dovremmo parlare di “svendite” in senso stretto: non c’è stata, con la supposta, teorica e millantata competitività tra più soggetti, la diminuzione dei costi per la cittadinanza; e questo su tutto (acqua, gas, luce, trasporti, banche, assicurazioni etc.). Da codesta “farsa” posso escludere solo il servizio telefonico che è l’unico per il quale il costo per la collettività, dal 2000 ad oggi, sia diminuito per davvero ed in maniera notevole. Le altre privatizzazioni sono state un vero dissennato e scempio spreco di proprietà pubbliche!
7) La Legge “Galli” del 1994 e il Codice dell’Ambiente del 2006 prevedono che il servizio idrico sia attuato dalle singole Regioni. Gli A.T.O. (Ambiti Territoriali Ottimali) sono le unità di organizzazione regionale del servizio idrico (nella mia Regione di A.T.O. ne abbiamo cinque, quante sono le Provincie: sono cinque “doppioni” con le Provincie? Lo decidano i lettori!). Dopo il Codice dell’Ambiente mi chiesi <….ma se occorresse portare nel Tavoliere delle Puglie l’acqua del fiume ciociaro Liri (sempre ultra abbondante in ogni stagione dell’anno e che va sprecata in mare assieme a quella del fiume Gari) per dare una mano all’acquedotto del Sele-Calore, lavoro idrico che sarebbe ciclopico, occorrerebbero quattro leggi regionali apposite di Abruzzo, Lazio, Molise e Puglie?....> Staremo “a cavallo”, saremmo proprio “a posto”! Non accadrà che la regionalizzazione anche delle acque porterà alla regionalizzazione tremenda e burocratizzata del servizio, cioè ad abusi e “nepotismi”, a corruzioni/concussioni, a disservizi, a camarille, ad invidie, ripicche e ritorsioni anche sub-regionali com’è accaduto per il Servizio Sanitario Nazionale? Non ho ancora sciolto il mio dubbio e la domanda che feci a me stesso è restata ancora senza risposta!
8) Allorquando in qualche legge o decreto s’usino sostantivi, aggettivi qualificativi, participi passati o avverbi desueti e per molte persone indecifrabili, del tipo “ambito ottimale” o “resilienza” o “a condizione che…..” o “fatto salvo…..”, mi insospettisco e penso subito a qualche celato imbroglio a scapito dei cittadini elettori. Nei primi anni 2000 si parlava di abolizione delle più di 105 Provincie (unità locali amministrative previste dalla Costituzione) e degli Istituti provinciali elettivi (Consiglio, Giunta, Presidente della Provincia). Io, cattivamente, supposi che, abolite le Provincie assieme a tutto l’armamentario di Amministratori eletti, a molti di essi sarebbe stato trovato il “posto” (e la retribuzione, una sorta di stipendio) in Società pubbliche e nei nuovi A.T.O., tanto negli A.T.O. la “baracca” per la parte essenzialmente tecnica sarebbe stata materialmente gestita da altri, “lavoratori dipendenti” ma competenti per davvero (i Direttori), mentre coloro che non avevano più il “posto” nella Provincia soppressa avrebbero fatto i Presidenti o Membri dei vari Consigli di Amministrazione (con relative retribuzioni); e cotanti Amministratori sarebbero stati nominati dal Governatore regionale in accordo con la sua “maggioranza” in Giunta e Consiglio. Un bel metodo usato da sempre per trovare un “posto” agli amici “trombati” dopo talune tornate elettorali! Certo la durata nei nuovi A.T.O. sarebbe stata inferiore al “mandato” in Provincia, non più di tre anni (forse riconfermabili), ma sarebbe pur stato meglio che niente anche contro il rischio di stravolgimenti elettorali o bocciature personali nelle elezioni di Regione; però, si sa tutti, nulla è eterno ed il “fieno” bisogna falciarlo e raccoglierlo quando è l’ora, che sennò diventa pacciame di sfalcio…….S.e.&o. <per la terza volta>
9) In effetti, controllando le sopraccarte di fatture realizzate in tipografia, risulta evidente che gli invii fossero chiusi. Sul bordo era riportato a stampa come dovessero “aprirsi”: “PER APRIRE TIRARE E SOLLEVARE IL LEMBO” oppure “STRAPPARE QUESTO BORDO PER APRIRE” e “STRAPPARE LUNGO LA PERFORAZIONE”. Ma perché, poi, pur confezionate in codesto modo (chiuse) le fatture dell’A.C.E.A. ebbero tassazione postale da FATTURE COMMERCIALI APERTE PER CITTA’, tali considerate dal personale dell’Azienda addetto alle spedizioni e così accettate dall’U.P. di Roma Ostiense? Non ho trovato normativa o risoluzione ministeriale in merito. Qualche specialista ne sa più di me? Medesimo trattamento, senza “forse”, ci fu per le fatture della S.I.P. (poi TELECOM) e per l’E.N.E.L. le quali erano, anch’esse, confezionate e chiuse in analogo modo! Per me è tutt’ora un bel mistero postale. A meno che l’incollaggio di cotali fatture fosse labile e fatto in modo da potersi aprire “una tantum ed -a campione-“ per eventuale controllo postale e poi reincollarsi, ma un po’ meglio di come avviene quando s’usano i Post-It giallini della 3M! Coloro che ne sappiano più di me mi scrivano pure; anche se ho 81 anni d’età lo so che non si finisce mai di apprendere nuove cose (rufini44@libero.it).
10) Posso riferire che molti decenni or sono, quando l’energia elettrica era distribuita dall’E.N.E.L. e le fatture trimestrali con allegato bollettino di c/c postale per effettuare i pagamenti, nella mia zona, venivano distribuite dalle Poste si verificò un fatto eccezionale e increscioso: a tutto un gruppo di strade le fatture non vennero consegnate; ma in E.N.E.L., qualcuno che si occupava della “contabilità” doveva essere “sveglio” cioè si accorse che col passare delle settimane mancavano i pagamenti di tutti i clienti di un’intera zona, tranne quei pochissimi i cui pagamenti erano effettuati in automatico con addebiti sui c/c bancari e che la cosa non era proprio normale. Poi si scoprì che il portalettere aveva gettato nei cassonetti stradali della spazzatura tutte le fatture che avrebbe dovuto consegnare; e ai clienti vennero rispedite le fatture senza caricarle di penale per pagamenti ritardati. Ricordo pure: a) che nel novembre 2024 a Cassino s’è scoperto che la portalettere non consegnava le corrispondenze da 10 anni; b) che a Vicenza un postino non consegnava da 8 anni 572 Kg. di posta (conservata in un garage); c) a Barberino (Mugello) nel 2018 vennero trovate circa 2.500 lettere non consegnate e recuperate in una scarpata nel bosco; d) a Sambuceto (CH) una postina nel 2019 è stata denunciata per aver buttato via 14 Kg. di posta (313 lettere raccomandate, posta light, prioritaria, etc.). Le Poste nazionali negli anni ’60, ’70, ’80 e ’90 avevano decine di migliaia di postini: poteva capitare di tutto; qualcosa qua e là può capitare ancor oggi. Quindi alcuni grandi mittenti, ai tempi, era normale che si affidassero anche alle Poste Private; ma codeste erano più economiche, più sicure, più affidabili delle Poste Ministeriali?

il 29 luglio

Antonio Rufini
12-06-2025

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