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Memorie di un anziano collezionista di storia postale (XCVII parte): | ||||||||||||||
I CARI ESTINTI – BANCHE – IL CREDITO ITALIANO DI GENOVA | ||||||||||||||
Antonio Rufini | ||||||||||||||
Inizio da questa puntata a raccontare di Enti e Società che non ci sono più. Per me, nato nel 1944, sono sul serio “i Cari Estinti” perché furono Enti ed Uffici che c’erano ancor prima che nascessi e che pensavo, diciamo pure che ero sicuro, mi ci sarei giocato gli occhiali che sarebbero esistiti anche dopo di me. Ma non è stato proprio così. Si tratta di Banche (pubbliche o private), Compagnie di Assicurazione, Uffici Giudiziari, Uffici Finanziari, Ospedali Pubblici, Enti vari Economici (cioè istituiti e creati con legge per gestire un’azienda); poi anche Società e Cooperative concessionarie di servizi (telefono, elettricità, acqua, miniere, Posta) sui quali lo Stato aveva ed ha la privativa (cioè il monopolio) ma che, a pagamento, poteva ed aveva concesso a “terzi”. Alcuni li tratterò, a gruppetti, in unica puntata e di altri parlerò singolarmente sia per motivi miei personali sia, o dovrei dire “poiché”, ne possiedo più Storia Postale. Mio nonno (classe 1880) fu dipendente del Credito Italiano Società Anonima (poi S.p.A.) fino al suo pensionamento nel 1946 e mio padre (classe 1914) dal 1946 fino al suo pensionamento (1978-79); non vado molto lontano se affermo che buona parte dei denari coi quali vennero acquistate le abitazioni per la nostra famiglia e per pagare gli studi a me ed a mio fratello, fino alle Lauree, provenissero anche dalle retribuzioni di quell’Istituto di Credito. Inizio quindi, per motivi miei personali, col raccontare del “vecchio” Credito Italiano, da moltissimi sempre nominato con la sua sigla telegrafica “CREDIT” e che non esiste più.(1) Proverò a riferire qualcosa senza sconfinare nel plagio; da sei anni non sono più associato all’A.I.C.A.M. alla quale poter chiedere aiuto e non posso nemmeno mostrare tantissimi oggetti, come invece possono fare i di lei Soci storici, i quali hanno materiale a disposizione che io posso solo sognare. Il Credito Italiano venne costituito a Genova nell’anno 1870 (28 aprile) con denominazione “Banca di Genova”; nel 1889 acquisì la Banca Provinciale di Genova e nel 1894 la Banca Manzi di Roma e la Banca Vonwiller di Milano; con codeste acquisizioni la Banca di Genova cambiò la denominazione in “CREDITO ITALIANO Società anonima” e venne quotata alla Borsa valori di Milano. Nel 1905 il Credito Italiano acquisì la Banca Meuricoffre di Napoli; nel 1911 fondò la Banca Italo-Belga in Brasile, Argentina ed Uruguay; nel 1919 acquisì la Banca del Monferrato, la Banca di Legnano e il Credito Varesino; nel 1930 acquisì la Banca Nazionale di Credito. Le due che seguono sono le A.M. più vecchie che ho in mano e dimostrano che già dall’epoca (anni ’30) il CREDIT possedesse non una ma più M.A. in Italia; non abbisognano di didascalie:
La prossima A.M. è più recente (si fa per dire: oltre 70 anni dalla circolazione); era un foglio piegato e chiuso, una normale corrispondenza affrancata con A.M. privata della Banca; la mostro “a foglio aperto” dato che nella A.M. non ci fu indicazione-leggenda del CREDIT e per comprendere che dal CREDIT venne affrancata occorre leggere le diciture (in cartella ed a stampa) che comparivano al retro per l’eventuale restituzione al mittente. Ora per allora posso congetturare che la macchina affrancatrice non fosse in uso all’Agenzia mittente (la “9” in Roma Via Cola di Rienzo 168), ma fosse una M.A. in uso generale nella Sede Secondaria di Roma Via del Corso; poteva essere che tutte le corrispondenze in partenza dalle Agenzie romane a fine serata venissero recapitate alla Sede e di lì, il mattino seguente, affrancate meccanicamente e portate in U.P. per la spedizione, forse all’U.P. Principale Roma Centro, che era vicino, a non più di 100 metri. Lire 25 il valore dell’affrancatura (periodo tariffario 1/8/1951-30/10/1952: lettera di 1° porto £. 25); e quindi, visto che ho detto tutto ciò che c’era da dire, la mostro senza didascalia: All’inizio degli anni ’30 il Credito Italiano, come tutto il sistema bancario italiano, fu coinvolto nella crisi economica mondiale seguente al crollo della Borsa di New York, alla recessione mondiale conseguente ed alla rivalutazione della Lira del 1927 (così detta “Quota 90”, leggere in Internet che supplizio sia stato). La crisi colpiva contemporaneamente Industrie e Banche che avevano grandi partecipazioni nelle stesse Industrie in crisi (settori meccanico, navale, trasporti, elettrico, telefonico, gas, etc.). Il Beneduce inventò di sana pianta l’Istituto per la Ricostruzione Industriale (I.R.I.) nel 1933 che rilevò dalle Banche tutte le partecipazioni industriali, pagandole, quindi immettendo denaro nelle casse degli istituti di credito ed evitandone i fallimenti.(5) Il Beneduce nel 1936 fece in modo che il Governo Mussolini si adoperasse in fretta per far approvare la nuova Legge Bancaria da Camera e Senato del Regno, legge ottima e che restò invariata per oltre 65 anni fino all’epoca delle privatizzazioni imposte dall’U.E. a fine degli anni ’90; non sto annoiando; la legge riguardò anche il Credito Italiano Società Anonima.(6) Difatti quella Legge Bancaria prevedeva, tra l’altro, che le Banche che fossero riuscite ad aprire sportelli in più di 30 Provincie del Regno e delle Colonie diventassero “Banche d’Interesse Nazionale”; scritta in codesto modo la “cosa” potrebbe sembrare quasi irrilevante, di facciata, ma invece non è così. Nei primi anni dopo la fine della seconda guerra mondiale il CREDIT assieme alle altre due B.I.N. COMIT BANCOROMA partecipò alla costituzione di Mediobanca. La Legge Bancaria impedì sempre alle tre B.I.N. il credito industriale, riservato ad Istituti pubblici specifici; impedì anche il credito fondiario, ma le tre B.I.N. per tale settore acquisirono (un terzo cadauna) l’Istituto Italiano di Credito Fondiario (FONSPA, ex Credito Fondiario Sardo) che a tale credito era stato abilitato da sempre e al FONSPA forse “giravano” propri clienti allorquando fosse loro necessario il credito fondiario.(7) Nel 1970, a 25 anni data dalla fine della guerra le azioni del CREDIT vennero rinegoziate in Borsa (da metà degli anni ’30 l’azionista I.R.I. preferì che non fossero oggetto di commercio tra il pubblico e non sono riuscito a capire il perché, dato che nella “storia” fatta nei tre libri sopra citati non se ne parla). Mi arresto momentaneamente a questo punto e non è che non posso ma proprio non voglio seguitare a raccontare la storia del CREDIT che è talmente complessa da meritare i tre libri citati in note; qui ho fatto, con grande modestia, il liofilizzato della vita del CREDIT ante 1998 e passo quindi a mostrare gli altri oggetti di Storia Postale in mie mani. Qui appresso, (in finale allegherò solo due foto storiche di edifici) mi sarebbe piaciuto allegare anche la sede romana del CREDIT in Via del Corso quasi avanti alla Rinascente; ne ho trovata una parziale però antica (nell’archivio storico di Unicredit) e non ne ho vista nessuna nemmeno come cartolina illustrata in eBay e Delcampe e poi m’è stato difficile usare la mia Nikon elettronica perché per riprendere tutto il fabbricato (forse oggi di proprietà dello Stato italiano) avrei avuto la necessità di un grandangolo che non ho. Dovrete accontentarvi del “ritaglio” qui appresso (senza didascalia): Ero affezionato a quel vecchio edificio perchè proprio lì, nella sede romana del Credito Italiano, dopo Natale e proprio il 6 gennaio, veniva distribuita la “Befana” ai figli dei dipendenti CREDIT fino al compimento di 13 anni; io e mio fratello, se non ricordo male, ne usufruimmo per 7, forse 8 anni di seguito (due treni elettrici Rivarossi, due macchine fotografiche Bencini/Comet, vari giocattoli elettromeccanici tedeschi, confezioni di rete-racchette-palline per tennis da tavolo e scatole numero 5 (le più complete) di costruzioni tipo “Meccano” ma migliori perchè di produzione della italiana BRAL <metallo più resistente con pezzi e fori in millimetri, non in frazioni di pollici>): Negli anni ’70 la Zecca italiana non riuscì a coniare monete metalliche sufficienti per la popolazione e per l’uso quotidiano. Mi riferisco ai valori da £. 50 e £. 100 (entrambi in acmonital) dato che le piccole monete da £. 20 (in bronzital), £. 10 e £. 5 (in alluminio) non erano più utili ai cittadini per “monetizzare” giornalmente; si verificò pertanto una penuria terribile di “spicci” tanto che in molti esercizi (supermercati e bar, latterie, edicole di giornali, caselli autostradali, etc.) iniziarono ad utilizzarsi francobolli (in bustine di plastica) e talvolta caramelle o gettoni telefonici in sostituzione delle monete. Per ovviare la mancanza di “spicci” molte Associazioni di Categoria, per aiutare i propri associati e in accordo con varie Banche, ottennero per esse Associazioni, ma da girare ai propri associati, quantitativi incredibili di Assegni Circolari (trasferibili) di piccolo taglio (in maggioranza da £. 50, £. 100, £. 150 e £. 200) e da usare negli esercizi al pubblico per i “resti” del pagamento dei prodotti i più vari. L’emissione di tali Assegni o “Miniassegni” iniziò in Lombardia ed in Emilia ad opera di Banche Popolari (Cooperative), ma poi in pratica riguardò l’intera penisola italiana. Quando poi la Zecca (I.P.Z.S.), con ritardo all’italiana, si dotò di nuove ed efficienti macchine monetarie per la coniazione delle monete occorrenti alla popolazione, riuscì a produrre tra il 1975 ed il 1981 una valanga di monete da £. 50 (1.440.110.000 pezzi) e da £. 100 (1.242.590.200 pezzi), così nonostante i problemi della distribuzione di quelle migliaia di tonnellate di metallo, la penuria di spicci a mano a mano cessò, espellendo dal mercato tutti i miniassegni in circolazione.(7) Bèh una buona parta venne girata ed incassata (a chili) con distinte di versamento lunghe come stelle filanti di carnevale e, nelle Camere di Compensazione delle C.C.I.A.A. con lo scambio di valigie di miniassegni; una buona parte venne conservata per “ricordo” e per collezionismo (di miniassegni ne vennero stampati vari cataloghi e di tutte le Banche emittenti); una parte, lisa dal passaggio continuo di mano in mano, venne semplicemente cestinata perché oltretutto non più negoziabile. Difatti la legge sugli Assegni (R.D. 1736/1933) prevedeva che la durata degli Assegni Circolari fosse di anni due (dall’emissione) e che, dopo lo spirare del termine, il portatore potesse chiedere al Pretore o al Presidente del Tribunale la proroga della validità, cosa mai verificatasi dato il basso valore di ogni singolo miniassegno ed il costo per la relativa procedura con carte bollate (all’epoca <1975-1981> il valore facciale dell’imposta di bollo <per un foglio di 4 facciate con 25 righe cadauna> passò da £. 500 a £. 2.000), diritti di Cancelleria, di copia e di notificazione del decreto di proroga, con in più il costo per ottenere dalla Banca emittente, presso lo sportello più vicino, il pagamento del piccolo importo. Mi sono sempre dedicato alla Storia Postale post seconda guerra mondiale ed in particolare a quella contemporanea ma qui di seguito sono stato costretto ad autolimitarmi ad una ventina di immagini; eccole di seguito:
Quando mi cade lo sguardo sulla foto b/n sopra allegata a pag. 4 mi viene sia il magone che da pensare a quanti decenni siano trascorsi: quei due ragazzini (di 8 e meno di 10 anni), con i cappottini listati a lutto e ritratti con le scatole dei giocattoli in mano, sarebbero poi cresciuti, si sarebbero laureati in Giurisprudenza ed avrebbero esercitato la professione legale per 42 e 47 anni…… Vorrei illudermi che questo primo paragrafo dedicato al CREDITO ITALIANO, veramente un “Caro Estinto”, sia stato di gradimento dei lettori; arrivederci al secondo paragrafo con i ricordi della COMIT di Milano. NOTE:
Antonio Rufini | ||||||||||||||
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