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La pasta: una tradizione tutta italiana

di Sergio De Benedictis (Aicam)

 

La pasta, creatura mediterranea, fatta di cultura, clima, sapori e tradizioni; condita con legumi, sugo di carne o formaggio, abbinata a verdura o frutta fresca è considerata dai nutrizionisti un pasto completo, bilanciato e anche poco costoso.

 


Rigorosamente al dente, per avere una migliore conservazione dei valori nutritivi ed associare una buona digeribilità e un prolungato senso di sazietà.


Liscia o rigata? Questo il dilemma che divide la popolazione italiana. Chi si schiera nella prima fazione la preferisce per la leggerezza mentre la tifoseria opposta ritiene la scelta obbligata se vogliamo che trattenga il condimento.


Ma il processo di trafilatura al bronzo mette tutti d’accordo in modo da avere una consistenza ruvida, garanzia di sapore, oltre che di tenuta in fase di cottura.

Rimasta fedele nei secoli, come l’Arma dei Carabinieri, la miscela che la compone: semola di grano duro e acqua, almeno per quanto riguarda la pasta secca, mentre quella fresca delle nostre mamme può anche prevedere il grano tenero.

La prima tipologia diffusa al Sud, in special modo nel cosiddetto “tavoliere delle Puglie”, la seconda nelle regioni del Nord.


L’attenzione che negli ultimi anni è stata posta verso la qualità della nutrizione ha fatto sì che venissero riscoperti grani antichi come la nota tipologia che va sotto il nome di “Senatore Cappelli”.

Ma quando appare la pasta sulle nostre tavole? Non fu certo Marco Polo a portarcela di ritorno dalla Cina, ma già Greci, Romani ed Etruschi producevano qualcosa simile alle nostre lasagne e in una tomba di Cerveteri è stata ritrovata l’attrezzatura per tirare una buona sfoglia.


 

Ma fu in Sicilia grazie agli arabi. all’alba del secondo millennio, che nasce un impasto chiamato “triyah” (dall’arabo “itrija”), che si confezionava a Trabia (Palermo) e ancora oggi, si parla di “vermiceddi di tria” (vermicelli) o “tria bastarda”. Così come in Puglia, altra regione le cui coste furono dominate per un breve periodo dagli Arabi, si cucina ancora un piatto noto come “tria e ciceri” (particolare variante di pasta e ceci, tipica del Salento).

 


Di contro il processo produttivo si è nei secoli adeguato alle nuove tecnologie ed i grandi pastifici, dovendo produrre su scala nazionale, hanno adottato vere linee di montaggio, in cui si butta dentro materia prima e si estrae la confezione che ritroviamo nei supermarket.

Le fasi, anche se automatizzate, sono comunque riconducibili a quelle dei nostri avi:

Macinazione

Il frumento viene portato al mulino per essere setacciato, ripulito dalle impurità e infine macinato, al fine di ottenere semole delle migliori qualità.

 

Impasto e gramolatura

La semola di grano duro viene impastata con acqua purissima. In questo modo l'amido e le proteine si legano all'acqua e inizia a formarsi il glutine, una rete proteica che lega i granuli d'amido idratati. Con la successiva fase della gramolatura, l'impasto diventa omogeneo ed elastico.


Trafilazione

L'impasto così ottenuto viene poi modellato dalle trafile, che determinano la forma prescelta. Dopo questa operazione l'impasto contiene circa il 30% d’acqua, troppa per essere conservato correttamente.

 

Essiccamento

È il momento più delicato di tutto il ciclo produttivo, la cui durata varia in funzione del tipo di pasta da produrre. Con l’essiccamento, la pasta viene ventilata con aria calda in modo da eliminare notevolmente il contenuto di acqua e rientrare nei parametri previsti dalla legge: l'umidità finale non deve essere infatti superiore al 12,5%.


Raffreddamento

L'elemento finale dell'essiccatoio è il raffreddatore, che porta a temperatura ambiente la pasta precedentemente ventilata.


Confezionamento

La pasta viene infine confezionata in astucci di cartone o in sacchetti trasparenti, che hanno la funzione sia di proteggere il prodotto da contaminazioni di agenti esterni, sia di presentarlo all'acquirente corredato da un’adeguata informazione.


 

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