digressioni gastro - filateliche
a cura della
Brigata di Cucina del Postalista

gazpacho
Spagna, 28 febbraio 2022, Michel 5597
 
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Filatelia Tematica



Continua anche questo mese la spedizione spagnola dell’allegra Brigata del Postalista che, incurante del torrido solleone, fa decisamente rotta verso sud, e abbandona le relativamente fresche coste della Galizia per raggiungere l’Andalusia.

Ad attirarci da queste parti ad onta del gran caldo è uno dei piatti più rinfrescanti che sia dato di assaggiare, non solo nella penisola iberica, ma nel mondo intero: il gazpacho andaluso.

Remoto discendente, con tutta probabilità, addirittura della posca degli antichi romani, il gazpacho andaluso è oggi il riconosciuto portabandiera della cucina spagnola nel mondo, e viene servito sia come primo piatto che in accompagnamento ad altre pietanze e, sempre più frequentemente, sotto forma di tapa all’ora dell’aperitivo o, semplicemente, come spuntino rinfrescante, molto spesso anche da bar o addirittura chioschi ambulanti.

Ma torniamo alle origini, e più esattamente alla bevanda che tra i legionari romani era di uso comune al punto di offrirla anche a Cristo sofferente sulla croce: la posca, una miscela di acqua e aceto, dove l’aceto aveva il duplice compito di abbattere la carica batterica di acque spesso di dubbia potabilità e di rendere la bevanda, in virtù del suo gusto acido, un po’ più dissetante… ecco, acqua fresca e aceto sono alla base anche del gazpacho dei giorni nostri e sono sempre stati, nel corso dei secoli, presenti tra i suoi ingredienti.

Con la posca i legionari romani usavano allungare la puls, una sorta di polenta di farina (molto spesso di farro, ma anche di altri cereali) che costituiva la base della loro alimentazione, e se ne servivano anche per bagnare e rendere più appetibili i vari tipi di pane azzimo che all’epoca si conoscevano.

E questo era, all’origine, il gazpacho primigenio dei contadini dell’Andalusia dominata dagli arabi: avanzi di pane raffermo sbriciolato e bagnato abbondantemente con acqua fresca e aceto, al quale i contadini aggiungevano un po’ di olio, erbe aromatiche, e qualche ortaggio, molto spesso solo cipolla, sminuzzato. La stessa etimologia del termine, che secondo molti è da ricondurre al termine mozarabico cazpa, piccolo frammento, farebbe riferimento appunto a questa modalità di preparazione.

Erano, quei lontani gazpacho del secolo VIII, ovviamente bianchi, perché il pomodoro ancora non si conosceva in Europa, e a volte venivano arricchiti con frutta secca tritata, in particolare, al tempo di Al-Andalus, mandorle, e da qui nasce, tra l’altro anche il moderno ajoblanco, che già vi abbiamo fatto assaggiare. Se ne conoscevano anche di leggermente verdeggianti, perché gli arabi importarono dall’India il cetriolo, le cui caratteristiche rinfrescanti furono apprezzate dai contadini iberici, ma per dare al gazpacho il colore rosso che ha oggi, bisognò attendere l’arrivo dall’America dei pomodori e dei peperoni dolci.

Tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 la fama del gazpacho, preparato rigorosamente al mortaio e con una consistenza molto più densa di quella alla quale siamo oggi abituati, ma sempre consumato ben fresco, era ormai molto di più di una rudimentale zuppa estiva apprezzata solo dai contadini del sud della Spagna, ma era preparato e apprezzato in tutta la penisola iberica, e cominciava a farsi conoscere anche all’estero.

Il passo finale, quello che consente oggi all’allegra Brigata di Cucina del Postalista di trovare un fresco ristoro dalla calura del luglio andaluso, è stato fatto con la diffusione, avvenuta intorno alla metà del XX secolo degli elettrodomestici ad uso familiare, e in particolare del frullatore.

Ed eccolo qui, davanti a noi, il nostro gazpacho… bello rosso, fluido e freschissimo, nella sua caratteristica ciotola di terracotta, che lo mantiene alla giusta temperatura, circondato dagli ormai immancabili tropezones, che sono poi, sotto altra forma, alcuni degli stessi ingredienti principali: dadini di pane tostato, di cetriolo, peperone e cipolla dolce che ognuno aggiunge alla scodella a suo piacimento… ma anche olive, spicchietti di uovo sodo, prosciutto tagliato grossolanamente, scaglie di formaggio… grande assente è invece il vino, che secondo i puristi mal si sposa con l’aceto (e l’aglio) abbondantemente contenuti in un gazpacho degno di questo nome.

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