digressioni gastro - filateliche
a cura della
Brigata di Cucina del Postalista

ghapama
Armenia, 17 maggio 2021, Catalogo n/a
 
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Anche da noi novembre è ormai sinonimo di Halloween, che del resto non è che una festività di ritorno, legata probabilmente a riti contadini precristiani (o comunque pagani) dei quali fino a qualche decennio fa era vivo nelle nostre campagne il ricordo.

Riti ai quali si è poi sovrapposta, come spesso succede, una festività cristiana, quella di Ognissanti (e questo è in fin dei conti il significato del termine Halloween: vigilia dei Santi), pur conservandosi il legame con il culto dei morti, rappresentato oggi dai mostri nordamericani e dalla festività (anch’essa cristiana) del giorno precedente.

E le zucche decorate non sono solo patrimonio delle culture anglosassoni, in particolar modo quelle trapiantate nel continente americano, giacché anche i nostri bisnonni si divertivano ad intagliarle in forma mostruosa e a porle, con un lumino acceso dentro, sui muri degli orti per, appunto, tenere lontano le anime dei morti, che avrebbero turbato il sonno dei bambini.

Novembre è dunque, più che di Halloween, il mese delle zucche, e grazie alla stagionalità che accomuna tutto l’emisfero nord, anche altri popoli hanno antiche tradizioni che prevedono l’uso di questo decorativo ortaggio… in Armenia, per esempio, a novembre si comincia a gustare la ghapama.

I primi passaggi della preparazione di questo piatto non differiscono molto da quelli delle nostre “zucche dei morti”: anche qui si tratta di praticare un foro circolare nella parte superiore di una zucca di adeguate dimensioni, avendo cura di inclinare leggermente il coltello, in modo che il disco asportato possa essere in seguito usato come coperchio, senza che ci sia il rischio di vederlo sparire all’interno della zucca cava… sì, perché anche per fare la ghapama la nostra cucurbitacea deve essere privata di semi e filamenti.

E qui finiscono le analogie, perché arrivati a questo punto, in Armenia, la zucca cominciano a riempirla. La base del ripieno è costituita da riso a grano lungo, tipo il basmati, portato preventivamente a metà cottura. Mentre il riso cuoce si mette a soffriggere in abbondante burro un misto di frutta secca: datteri, albicocche, uvetta, una varietà locale di corniolo abbastanza aspra, noci, prugne, pistacchi e mele in proporzioni molto spesso dettate dall’estro del cuoco. Una volta scolato, anche il riso viene posto a insaporire con il mix di frutta secca, e il tutto viene condito con miele, pepe, cannella, noce moscata ed erbe aromatiche il cui dosaggio è ancora una volta dettato dal gusto del cuoco.

Il tutto viene quindi usato per farcire la zucca, avendo cura di lasciare un po’ di spazio libero per permettere al riso di gonfiarsi durante l’ulteriore cottura, che avverrà grazie al liquido ceduto dalla polpa della zucca e al latte leggermente inacidito che molti aggiungono poco prima di mettere il tutto in forno per almeno due ore, o comunque fino a quando la scorza della zucca non si lascerà facilmente penetrare da uno spiedino di legno.

Se il ripieno è ben fatto (e lo è praticamente sempre), una volta tagliata a spicchi la zucca seguendo le sue nervature si otterranno delle fette fumanti e compatte, che si apriranno coreograficamente come i petali di un grosso fiore, liberando un aroma al quale è ben difficile resistere, e che molto spesso rappresenta la degna conclusione anche di un bel pranzo di Natale.

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