digressioni gastro - filateliche
a cura della
Brigata di Cucina del Postalista

i
sat kei ma
Macao, 26 settembre 2002, Michel 1225
 
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Quando agli inizi del XVII secolo l’esercito manciù inizio la sua conquista della Cina, fino ad allora dominata dalla dinastia dei Ming, la sua arma vincente si rivelò essere la mobilità dei cosiddetti “vessilli”: reparti di cavalleria che, benché inferiori per numero ed armamenti, riuscirono a tenere costantemente in scacco l’esercito cinese, e furono i veri protagonisti della prepotente ascesa di quella che è passata alla storia come la dinastia dei Qing.

Insieme a quei cavalieri arrivò in ogni regione del Celeste Impero anche ciò di cui prevalentemente si nutrivano durante i loro veloci spostamenti, una sorta di barretta energetica ante litteram che essi chiamavano sachima, che alla lettera significava “taglia e metti in ordine”.

Venivano (e vengono anche oggi) prodotti impastando farina di frumento e uova, e lavorando l’impasto fino ad ottenere una sfoglia abbastanza spessa da cui si ritagliavano delle strisce larghe poco meno di un centimetro e lunghe una decina che venivano poi fritte e lasciate raffreddare. Il giorno successivo i pezzi di pasta fritta venivano impastati con uno sciroppo caldo di maltosio e zucchero semolato e pressati dentro grandi teglie rettangolari, fino ad ottenere delle lastre spesse due o tre centimetri.

Il terzo giorno dalle lastre compatte così ottenute si tagliavano dei blocchetti più piccoli che i cavalieri riponevano nelle loro bisacce, e di cui spesso si nutrivano senza nemmeno dover interrompere le loro rapide cavalcate. Un cibo leggero, gustoso ed energetico con caratteristiche nutrizionali sorprendentemente simili a quelle delle barrette alle maltodestrine oggi tanto gradite agli appassionati di fitness.

Oggi la lingua mancese è praticamente scomparsa, perché i conquistatori Qing assorbirono presto lingua e cultura dell’etnia han, dominante in Cina, ma quel loro dolcissimo snack è sopravvissuto, e l’antico nome di sachima si è trasformato nel cantonese sat kei ma: il suono è simile, ma il significato è ben diverso: “uccidi l’uomo a cavallo”… quasi che, secondo una teoria che va per la maggiore, con il nome del dolce i popoli conquistati abbiano voluto far sopravvivere anche il ricordo dell’invasione che si trovarono a subire.

Largamente soppiantato, soprattutto in questi ultimi anni, dalle barrette energetiche introdotte dagli occidentali, il sat kei ma (popolare anche a Singapore e in Malesia, dove è arrivato con gli emigranti cinesi) si può trovare ancora oggi sulle bancarelle degli ambulanti di Hong Kong, Guangzou, Macao e delle altre città della Cina meridionale.

Noi dell’allegra Brigata di Cucina del Postalista siamo andati però ad assaggiarlo a Singapore, attratti dalla fama di un chiosco dove un ormai anziano cinese lo prepara ancora, davanti agli occhi degli avventori, seguendo fedelmente l’antico procedimento manciuriano trasmesso, così ci assicura lui, di padre in figlio da almeno dieci generazioni.

Non sappiamo se sia il caso di credergli o no, ma il suo sat kei ma è in ogni caso davvero gustoso, morbido e al tempo stesso croccante come pochi degli snack in vendita nei nostri supermercati possono vantarsi di essere.

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