digressioni gastro - filateliche
a cura della
Brigata di Cucina del Postalista

bissara
Marocco, 13 luglio 2020, Yvert 1885
 
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Gli antichi Egizi chiamavano fouleya un tipo di minestra di fave fresche simile al nostro passato di legumi. Di questo piatto si trova traccia addirittura in alcuni geroglifici risalenti al 4000 a.C. e talvolta è indicato anche con la locuzione bees-oro, che alla lettera significa “fagioli cotti”: è da questa espressione che deriva l’arabo bissara, ancora oggi in uso. Nell’Egitto moderno l’ingrediente principale sono però le fave secche (e talvolta i piselli spezzati) e la consistenza è molto più densa, tanto che viene spesso consumato come mezè, o in accompagnamento ad altri piatti, un po’ come si fa con lo hummus.

Dall’Egitto però, soprattutto durante la grande espansione araba, il piatto si è diffuso in tutta l’Africa settentrionale, e la specialità culinaria più simile a quella degli antichi Egizi è probabilmente quella che viene ai nostri giorni preparata in Marocco. L’allegra Brigata di Cucina del Postalista è venuta ad assaggiarla nel Rif, dalle cui alture lo sguardo spazia sul mar Mediterraneo fino alla punta di Melilla a est, e a ovest fino al promontorio di Ceuta, e nelle giornate particolarmente limpide si riesce a scorgere l’imponente rocca di Gibilterra.

Qui si dice che gli antichi abitanti berberi, che nella loro lingua si definiscono imazighen, uomini liberi, impiegassero acqua piovana per l’ammollo e la cottura delle fave secche destinate alla preparazione della thamarakt, equivalente berbero dell’arabo bissara. E proprio del Rif, della città di Ajdir, era nativo il leggendario Mohammed ben Abdelkrim Al-Khattabi, che negli anni ‘20 del secolo scorso capeggiò la rivolta delle tribù berbere contro spagnoli e francesi, primo sussulto delle lotte per l’indipendenza del Marocco, che di questa zuppa era particolarmente goloso e che aveva l’abitudine di mangiarla (e farla mangiare ai suoi soldati) prima delle battaglie: sosteneva che avrebbe garantito forza e coraggio in combattimento, e c’è da credere che avesse ragione, visto che nella battaglia di Anoual, la prima della guerra del Rif, 3000 dei suoi uomini sbaragliarono 18000 soldati spagnoli.

La bissara marocchina è aromatizzata con aglio, cumino e peperoncino secco sbriciolato, ed ha una consistenza abbastanza liquida, tanto che molto spesso viene servita, come in effige al nostro francobollo, con l’accompagnamento di pane da inzuppare nel piatto. La sua caratteristica più evidente, anche a prima vista, è la sottile e decorativa “ragnatela” ottenuta versandoci sopra subito prima di servirla abbondante olio di oliva (di cui il Marocco è il quinto produttore mondiale) da un recipiente con un beccuccio molto fine.

La thamarakt può essere gustata calda o fredda, a seconda della stagione, mentre invariabilmente bollente sarà sempre il tè alla menta, bevanda che solitamente la accompagna.

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