digressioni gastro - filateliche
a cura della
Brigata di Cucina del Postalista

couscous
Tunisia, 26 dicembre 2009, Yvert 1862
 
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Originario della Kabilia, regione situata poco a est di Algeri sulla costa mediterranea e abitata da una popolazione di etnia berbera che nel corso dei secoli lo ha diffuso in tutto il Maghreb, dalla Libia fino al Marocco, il couscous deve il suo nome (in berbero, kseksu: formato in grani rotondi), alla lavorazione cui viene sottoposta la semola di grano duro per produrlo.

E' un procedimento abbastanza lungo e laborioso, che consiste nell'inumidire la semola e lavorarla a mano, con continue aggiunte di altra semola e acqua, fino ad ottenere delle minuscole palline di diametro inferiore al millimetro. Lasciati seccare al sole, i grani di couscous costituiscono una riserva di cibo facilmente conservabile per mesi e mesi. Al momento dell'uso, viene cotto al vapore in due o tre riprese, utilizzando una grossa pentola chiamata couscoussière.

Il couscous che è oggi facilmente reperibile nei nostri supermercati ha già subito una precottura, e per la sua preparazione definitiva basta di solito lasciarlo gonfiare per pochi minuti in acqua bollente salata. Un bel risparmio di tempo rispetto alle due o tre ore che erano richieste un tempo, anche se un mio amico marocchino sostiene che il risultato finale non è nemmeno lontanamente paragonabile.

La parola, dunque, indica semplicemente i grani di semola, e se ne conoscono numerosi modi di preparazione, ivi compresi alcuni dessert che prevedono l'uso di latte, miele e uva passa. Tuttavia, nell'uso comune il vocabolo è passato ad indicare quasi sempre la più nota delle ricette da esso ricavata, che è anche quella in effigie nel francobollo che vi presentiamo, emesso dalla Tunisia il 26 dicembre del 2009, dentellato 13 1/2, e catalogato da Yvert col numero 1862.

Già attestato in un manuale di cucina del 13° secolo, il couscous così preparato costituisce il piatto di base della cucina maghrebina, e se ne conoscono delle varianti locali anche in Sicilia (Trapani), Sardegna (Carloforte) e Spagna (Almeria e Murcia). Ai nostri giorni, la colonizzazione francese prima, e l'emigrazione dal Nord Africa dopo, ne hanno fatto uno dei piatti più diffusi in Francia, da dove ha pian piano conquistato spazio in tutta Europa. La sua preparazione è relativamente semplice, benché abbastanza lunga nonostante l'introduzione del couscous precotto.

I granelli, cotti al vapore o in acqua, vengono disposti a piramide su un grande vassoio circolare e coperti di vegetali (melanzane, zucchine, peperoni, ceci, carote e rape) cucinati in un brodo aromatizzato da spezie che variano a seconda delle tradizioni locali. A parte, viene servito il liquido di cottura delle verdure (marqa), che servirà a inumidire e insaporire i grani, e una purea (piccantissima e speziata) di peperoncini rossi chiamata harissa.

Il tutto viene spesso arricchito con l'aggiunta di carne (o pesce, come nel cuscusu, la variante siciliana) arrostita o, molto più comunemente, stufata. Escluso ovviamente il maiale, le carni più usate sono il montone, il pollo e il manzo, a volte sotto forma di spiedini o polpette. Molto usato anche il merguez, un insaccato di carne bovina e/o ovina insaporito con aglio, finocchio e harissa.

Il menù di molti ristoranti, soprattutto turistici, propone a volte il cosiddetto "couscous royal", nel quale tutte queste varietà di carne sono impiegate contemporaneamente... ebbene, si tratta di un'invenzione, appunto, per turisti, perché i nostri granelli di semola, tradizionalmente poveri (benché di ottime proprietà nutrizionali), usavano accompagnarsi con un solo tipo di carne alla volta... quando c'era.

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