digressioni gastro - filateliche
a cura della
Brigata di Cucina del Postalista

kebab
Turchia, 23 marzo 1994, Yvert 2763
 
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Filatelia Tematica



L'allegra Brigata di Cucina del Postalista, continuando a seguire la traccia del cosiddetto food street, quegli spuntini più o meno sostanziosi (e più o meno dieteticamente sani) consumati in piedi di fronte a carrettini, chioschi e "buchi" spesso di dubbia pulizia, si sposta questo mese dagli Stati Uniti alla Turchia, e dopo l'hot dog decide di concedersi anche un bel kebab.

Anche se nell'immaginario collettivo culinario europeo alla parola kebab vengono normalmente associati quei grossi cilindri di carne che, impalati su uno spiedo verticale, girano lentamente davanti a una griglia rovente, il significato della parola araba è, molto più semplicemente quello di "carne arrostita".

Il termine şiş kebap identifica in realtà, come nel nostro francobollo, uno spiedino di carne tagliata a pezzi o macinata (tipico, questo, della città di Adana), marinata e condita con erbe e spezie che variano a seconda del luogo (dall'origano alla menta, dal peperoncino alla cannella, passando per cumino, prezzemolo, coriandolo, peperoni dolci e via insaporendo) ed infine cotta alla brace. Ne esistono anche versioni vegetariane, principalmente melanzane, peperoni, zucchine e cipolle, e altre dove carne e verdure vengono usate insieme.

Il kebab come lo intendiamo noi pare sia stato inventato da un venditore ambulante di nome Iskender Efendi sul finire dell'800. Questi cominciò a fare uso di uno spiedo verticale simile a quelli che conosciamo noi. La carne, tagliata a fettine sottilissime, era più facilmente confezionabile all'interno di panini bassi e rotondeggianti, e questo ne favoriva il consumo per strada.

Era nato il döner kebab, che alla lettera significa "carne arrostita che gira", e presto, con l'introduzione di un pane azzimo sottilissimo simile alla nostra piadina, sarebbe nato anche il dürüm kebab. Le successive ondate di emigrazione turca hanno decretato il successo internazionale di questo piatto, prima in Germania e poi nel resto del mondo.

Anche se i turchi vi diranno che il kebab più saporito è quello di carne di agnello, sono molto usate, soprattutto in Europa, anche il manzo e il pollo, o un misto di queste tre...e in ogni caso, per motivi religiosi, mai il maiale. Una volta tagliata a fettine, la carne viene infilzata nello spiedo verticale, fino a formare un grosso cilindro alla cui sommità si mettono le parti più grasse che, sciogliendosi e scolando, evitano che la carne risulti alla fine della cottura troppo secca o abbrustolita.

Lo spiedo viene poi fatto ruotare vicino a una fonte di calore, che ai tempi di Iskender Efendi era brace rovente sistemata in apposite griglie disposte verticalmente intorno allo spiedo, e oggi è una specia di stufetta a gas o elettrica. Mano a mano che, girando, la superficie esterna del cilindro di carne arriva a cottura, una specie di rasoio elettrico (Iskender, naturalmente, usva un affilatissimo coltello) la riduce a fettine sottilissime, che vengono infine usate per farcire il pane arabo o la yufka (così si chiama quella specie di piadina).

Il tutto, completato da verdure miste e salse secondo il gusto personale del cliente: c'è quella (freschissima) a base di joghurt e menta e quella (piccantissima) di peperoncini, quella fatta con i ceci, simile all'hummus e quella, più simile al tahini, a base di sesamo... e purtroppo c'è anche chi, orrore!, chiede di aggiungere maionese, ketchup e perfino patatine fritte.

Inutile dire che noi della Brigata di Cucina del Postalista rifuggiamo da simili contaminazioni: nel nostro kebab (preferibilmente di agnello) accettiamo solo salse tradizionali turche come quella, a base di joghurt, pomodoro e burro inventata tanti anni fa, ancora una volta da Iskender Efendi.

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