digressioni gastro - filateliche
a cura della
Brigata di Cucina del Postalista

dakos
Grecia, 18 luglio 2005, Yvert 2268
 
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...le agnelle, assiso, e le belanti/ capre mugnea, tutto serbando il rito,/ e a questa i parti mettea sotto, e a quella./ Mezzo il candido latte insieme strinse,/ e su i canestri d'intrecciato vinco/ collocollo ammontato… (Odissea, IX, 310-315)

Dunque Polifemo, perché di lui si tratta, intento al suo lavoro e ancora ignaro della presenza di Ulisse e dei suoi uomini, produceva forme di cacio cagliato (il candido latte insieme strinse) con un misto di latte ovino e caprino, e le metteva a scolare su i canestri di intrecciato vinco. E c'è di più: come Ulisse narra nei versi precedenti, descrivendo l'esplorazione condotta dai marinai greci prima che il gigantesco pastore tornasse alla sua spelonca, queste forme entro il siere notavano, erano cioè immerse nel siero di latte salato, accorgimento che impedisce al formaggio di seccarsi e ne consente la conservazione.

E volendo essere più precisi, il procedimento sommariamente, ma con molta efficacia descritto da quell'uom dal multiforme ingegno il cui nome, almeno per il Ciclope ingannato, era Nessuno, appare essere sostanzialmente simile a quello tradizionale di produzione della feta greca.

Tuttavia, né Polifemo, né Ulisse, né alcuno dei loro contemporanei usavano questo nome: per loro quello era semplicemente πρόσφατος τυρóς, vale a dire "formaggio recente", alludendo al fatto che dopo la semistagionatura subita il prodotto diventava disponibile in genere dopo due mesi e, in assenza delle moderne tecniche di conservazione sotto vuoto, veniva rapidamente consumato. La parola feta, con il quale è oggi conosciuto in tutto il mondo, è un termine introdotto nel greco moderno intorno al XVII secolo, e deriva dall'italiano "fetta", con evidente riferimento alla pratica di porre in salamoia il formaggio già affettato, allo scopo di mantenerlo più morbido.

Nella tradizione gastronomica ellenica la feta è protagonista indiscussa delle numerose varianti di τυρóπιτα, la tiropita, una sorta di torta salata di pasta sfoglia e formaggio che probabilmente discende dalle tyritas plakountas bizantine, a loro volta ispirate a quelle che i romani chiamavano genericamente placentae, vale a dire pasta ripiena degli ingredienti più strani e poi cotta in forno o fritta.

Anche se è ovviamente possibile consumare la feta così come è, e benché sia molto comune vedersela offrire panata e fritta come stuzzichino, la sua grossolana granulosità è oggi nel mondo diventata sinonimo di insalata alla greca: spicchi di pomodoro, fette di cetrioli, anelli di cipolla, olive nere di Kalamata e cubetti di feta, generosamente conditi con olio extravergine di oliva e cosparsi di origano, il cui gusto pungente si sposa a meraviglia con quello salato del formaggio.

E infatti lo ritroviamo, l'origano, anche nella meno nota κουκουβάγια, conosciuta anche con il nome di dakos, una specialità cretese spesso servita come mezes (antipasto o stuzzichino), ma che nella stagione estiva è un piatto unico fresco, leggero e completo. La base è costituita da un παξιμάδι, una sorta di panino di farina di orzo che al termine della cottura viene diviso orizzontalmente in due parti che poi vengono fatte biscottare, e che prima della consumazione deve essere bagnato con acqua. Una volta ammollato, il paximadi viene ricoperto con pomodoro grossolanamente tritato, feta spezzettata e abbondante origano, una generosa spruzzata d'olio completa il tutto.

Come si vede, si tratta di qualcosa di molto simile a molte altri piatti tradizionali mediterranei, e in particolar modo alle fresedde pugliesi, e del resto la Puglia faceva parte della Magna Grecia, ma questo discorso ci porterebbe troppo lontano.

Per oggi limitiamoci al nostro dakos e al bicchierino di freschissimo ouzo che di solito (ed è così anche in effigie al nostro francobollo) lo accompagna… καλή όρεξη.

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