digressioni gastro - filateliche
a cura della
Brigata di Cucina del Postalista

locro
Argentina, 7 giugno 2003, Michel 2826
 
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In quechua, la lingua dell’antico popolo Inca a tutt’oggi parlata correntemente in Perù e in molte altre zone delle Ande, si chiama ruqru, e con questo nome generico si indica, nelle sue numerose varianti locali, una zuppa tipica di varie popolazioni andine, dalla Colombia fino all’Argentina.

La base, trattandosi di un piatto povero di origine precolombiana, è di solito costituita da patate, zucca gialla, mais e fagioli bianchi, che sono poi gli ingredienti di quello che è conosciuto come locro de zapallo, o più colloquialmente come hwazqalucru, che sempre in quechua significa, alla lettera, zuppa degli orfani.

La ricetta prevede la lenta cottura di patate, zucca, chicchi di mais e fagioli freschi in un soffritto di aromi vari fino ad ottenere una zuppa abbastanza densa che viene consumata in genere con l’accompagnamento di salse piccanti. A questa versione “basica” si aggiunge spesso un uovo fritto, frattaglie o interiora di carne bovina cotte alla griglia, o il charqui (che altro non è che carne essiccata, ovina o bovina) posto direttamente nella olla, il capace pentolone dove il tutto viene preparato, all’inizio della cottura per consentirne la reidratazione.

Lungo la costa peruviana non è infrequente l’aggiunta di pesci o crostacei, mentre in Ecuador si prepara lo yahuarlocro, che oltre alle interiora di pecora prevede anche l’uso del sangue (yahwar significa appunto sangue, in quechua) dello stesso animale. In Bolivia invece il ruqru andino si arricchisce di ingredienti che provengono dalla selva amazzonica, come la banana, il platano, la carne di armadillo e di volatili di vario genere, e se ne conosce addirittura una variante dolce: il locro carretero.

Ma il locro più conosciuto ai palati occidentali, e che nel suo paese è considerato addirittura un piatto nazionale, è quello argentino. Nella tradizione del paese infatti il suo consumo è associato ai festeggiamenti della Rivoluzione di Maggio, con la quale si arrivò nel 1810 alla deposizione del Viceré spagnolo e alla costituzione di una prima forma di governo autonomo dell’Argentina. Secondo alcuni storici infatti il piatto fu diffuso in tutto il paese dai gauchos che combatterono nella guerra, conosciuta appunto come Guerra Gaucha, che avrebbe portato 15 anni più tardi all’indipendenza del paese dalla Spagna.

E’ dunque un piatto invernale (siamo nell’emisfero sud), che rispetto alle versioni andine ha perso completamente l’uso della patata e molto spesso anche dei fagioli, conservando solo zucca gialla e mais, ed è particolarmente ricco di carne. Un locro argentino ben fatto prevede infatti oltre alle frattaglie di bovino e al charqui, come in Perù, anche l’uso di tagli bovini più pregiati, e di tanta carne suina: pancetta, lardo, salsicce, costine, zampetti, orecchie e cotiche di maiale.

Sono proprio questi ultimi tagli di carne suina, ricchi di tessuto connettivo e grassi, insieme all’amido del mais triturato il cui uso è tipico della ricetta argentina, a conferire a questo locro una consistenza molto densa: è il cosiddetto locro pulsudo, il più apprezzato, accompagnato invariabilmente dal quiquirimichi, una salsa piccante a base di olio, peperoncino, peperoni, cipolla verde e origano…

...e naturalmente anche da un buon bicchiere di vino rosso ben corposo, come certi Malbec dei quali è generosa produttrice la città di Mendoza.

 

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