digressioni gastro - filateliche
a cura della
Brigata di Cucina del Postalista

tamales
Colombia, 15 marzo 2018, WADP CO033.18
 
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Filatelia Tematica



La specialità che oggi l’allegra Brigata di Cucina del Postalista vi propone viene da molto lontano, sia nel tempo che nello spazio: le sue origini si possono collocare nell’area mesoamericana di quasi diecimila anni fa. E’ infatti a partire dall’8000 a.C. che secondo gli archeologi si cominciano a rintracciare in Messico i primi segni di un procedimento di conservazione del mais noto sotto il nome di nixtamalizzazione, che consiste nel cuocere (o semplicemente lasciare in ammollo per molto tempo) i chicchi di mais in una soluzione di ceneri, calce e acqua ed essiccarli per poi macinarli fino ad ottenere una farina che oggi viene chiamata masa, o masaseca.

Al momento dell’uso, la farina viene impastata con acqua fino ad ottenere un impasto di forma generalmente allungata che viene poi avvolto in foglie di banano, o nelle stesse brattee del mais, per formare una specie di pacchetto da bollire o cuocere al vapore. Con questo procedimento, ancora oggi, si preparano quelli che in lingua nahuatl si chiamavano tamalli, che grosso modo significa “pasta di mais avvolta”, e che i conquistadores spagnoli chiamarono tamales.

Si dice che una delle prime estimatrici europee sia stata la regina Isabella, ma forse è solo una leggenda perché almeno per i primi decenni dopo la scoperta dell’America i cibi provenienti dalle nuove colonie erano guardati con una certa diffidenza. In America invece, e ben prima dell’arrivo di Colombo, i tamales erano usati in tutta l’America Centrale, con una buona diffusione anche verso sud e tra le tribù “pellerossa” del nord, con innumerevoli varianti nelle modalità di consumo, nella dimensione, nei condimenti e nei ripieni usati, nonché nelle occasioni di consumo.

I tamales si possono infatti essere dolci o salati, avere o no un ripieno, essere impastati con l’aggiunta degli ingredienti più disparati ed essere consumati praticamente in ogni ora del giorno e della notte. In Messico, che ne è considerato la patria, sono molto usati per esempio a colazione, magari accompagnati da una tazza di champurrado (bevanda calda a base di cioccolato e, ancora una volta, di mais) e prendono molto spesso il posto del pane durante i pasti principali. Sono anche molto apprezzati per un pasto veloce a metà giornata, magari con ripieno di chili e accompagnati da salse più o meno piccanti.

Un capitolo a parte meritano poi i tamales ripieni: dentro ci si può trovare di tutto, dall’uvetta al formaggio, dalla carne al pesce, dai fagioli stufati ai peperoni arrostiti, e si possono accompagnare alle pietanze e ai condimenti più svariati. Anche le dimensioni cambiano, e se comunemente i tamales sono lunghi al massimo una decina di centimetri, in certe zone dello Yucatan non è difficile imbattersi in tamales “giganti” chiamati zacahuil: preparati in genere in occasione di feste popolari possono raggiungere il metro di lunghezza.

Fuori dal Messico i tamales assumono spesso nomi diversi, e ne è un esempio la ayaka di Curaçao, della quale ci siamo già occupati. Nell’Argentina del nord si chiamano humitas, in Brasile pamonhas, in Nicaragua nacatamales, nel Belize bollos, e via discorrendo.

Cambiano ovviamente anche le forme e le dimensioni, e in Colombia se ne conoscono almeno tre tipi diversi: il bollo limpio, sferico e privo di ripieno, l’envuelto, di forma allungata e cotto nelle foglie di mais, e il tamal propriamente detto (a destra nel nostro francobollo), cotto nelle foglie di banano, sferico, ripieno spesso di carote e pollo, molto usato a colazione come accompagnamento di una bella tazza di cioccolata.

In tutto il resto del mondo (e soprattutto negli Stati Uniti) i tamales sono uno dei pilastri gastronomici dei latin fast-food, e come tutto ciò che viene ad assumere connotazione internazionale vanno un po’ perdendo le loro caratteristiche originali per venire incontro ai gusti dei nuovi clienti.

Anche da noi è facile oggi trovarli, ma sono ormai solo lontani parenti di quelli che è possibile gustare in piedi davanti al chiosco di certi ambulanti del Chiapas.

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