digressioni gastro - filateliche
a cura della
Brigata di Cucina del Postalista

bacalà alla vicentina
Italia, 1° marzo 2017, Yvert 3730
 
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No, non si tratta di un errore, come la cartina geografica del Gronchi rosa, o la bandiera "controvento" delle 500 lire d'argento del 1957: a Vicenza il baccalà ha una sola C, bacalà alla vicentina. E a voler essere proprio pignoli, non è baccalà, ma stoccafisso... che sempre merluzzo (gadus morhua) è, ma anziché essere conservato sotto sale viene fatto essiccare fino a raggiungere una consistenza legnosa che fa somigliare i pesci ad altrettanti bastoni.

Stokkfisk in norvegese significa appunto pesce-bastone e, secondo quanto riferito da Luciano Righi, presidente della Confraternita del Bacalà alla Vicentina, nel bollettino di presentazione della nostra emissione, è proprio dalla Norvegia che un mercante e navigatore veneziano portò in Veneto i primi stoccafissi.

Stiamo parlando di messer Piero Querini, che dopo essere partito da Candia (Creta) il 25 aprile del 1431 a bordo di una caracca carica di preziose mercanzie diretto nelle Fiandre fu sorpreso da una serie di tempeste al largo del capo Finisterre. La nave, disalberata e con il timone in avaria, andò alla deriva verso nord fino a prendere terra su un isolotto disabitato delle isole Lofoten, oltre il circolo polare artico, dove i sopravvissuti furono soccorsi dai pescatori della vicina isola di Røst nel gennaio del 1432.

A Rustene, come il Querini chiama l'isola nella relazione scritta per il Senato veneziano, i naufraghi restarono per quattro mesi, prima di intraprendere il viaggio di ritorno. Nella medesima relazione, oggi conservata nella Biblioteca Apostolica Vaticana, il mercante fa una dettagliata descrizione degli usi e costumi di quegli "...uomini purissimi e di bello aspetto, e così le donne sue..." che vivono in un luogo dove "...dal giugno al settembre, non vi tramonta il sole, e nei mesi opposti è quasi sempre notte...".

Gli isolani, annota con stupore il Querini, sono talmente semplici e privi di malizia che "...non curano di chiuder alcuna sua roba, né ancor delle donne loro hanno riguardo: e questo chiaramente comprendemmo perché nelle camere medeme dove dormivano mariti e moglie e le loro figliuole alloggiavamo ancora noi, e nel conspetto nostro nudissime si spogliavano quando volevano andar in letto."

Descrive anche le loro attività di pesca, unico sostentamento di cui disponessero, e le loro abitudini alimentari: "I stocfisi seccano al vento e al sole senza sale, e perché sono pesci di poca umidità grassa, diventano duri come legno. Quando si vogliono mangiare li battono col roverso della mannara, che gli fa diventar sfilati come nervi, poi compongono butiro e specie per darli sapore: ed è grande e inestimabil mercanzia per quel mare d'Alemagna."

Eccola dunque, la ricetta primigenia del nostro bacalà: stoccafisso battuto vigorosamente per vincere la sua rigidità, e fatto cuocere con burro e spezie.

Che poi è quello che da secoli si fa a Vicenza, solo che alla battitura fa seguito un ammollo di 2-3 giorni e il burro è stato sostituito dall'olio; ma siccome il burro ha anche il pregio di ingentilire il sapore, ecco che nella ricetta vicentina fa la sua comparsa il latte, mentre le "specie" vicentine sono sarde (o acciughe) sotto sale, cipolla (a volte anche aglio), grana e prezzemolo.

Quello che i pescatori norvegesi non avevano era la polenta, visto che nel 1432 su questa sponda dell'Atlantico il mais non era ancora arrivato. E nemmeno avevano, per ovvie ragioni climatiche, i vini che tradizionalmente accompagnano il bacalà alla vicentina: il Vespaiolo, bianco dal sapore fresco e piacevolmente acido, il Tai dei Colli Berici, rosso di buona gradazione che sgrassa e pulisce la bocca senza nulla togliere delle sensazioni gustative che il bacalà riesce a dare, e perfino uno spumante, il Durello, dal gusto vivace e del tutto particolare.

 

 

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