digressioni gastro - filateliche
a cura della
Brigata di Cucina del Postalista

parmigiano reggiano
Italia, 25 marzo 2011, Yvert 3195
 
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Narra la leggenda che fu Giovanni, abate del monastero benedettino di Corniano, a coniare nel 1145 il termine "formaggio", riferendosi a una forma di Parmigiano. La locuzione esatta, attestata in una pergamena del 1195, è "formadio", parola alla quale viene con una certa fantasia attribuito il significato di "forma di Dio".

In realtà la filologia assegna alla parola un'origine molto più prosaica, rapportandola ad un particolare tipo di formaggio, il cosiddetto caseum formaticum, che già dal sesto secolo indicava una varietà di prodotto a moderata stagionatura, confezionato in forme (formaticum) e particolarmente adatto alla conservazione, e proprio per questa ragione adottato come approvvigionamento dei reparti militari.

Quello che invece è certo, è che verso la metà del XII secolo, intorno ai monasteri benedettini e cistercensi della zona compresa tra Reggio e Parma, cominciano ad apparire i primi "caselli", edifici a pianta quadrangolare o ottagonale delegati alla produzione di un tipo di formaggio vaccino a grana dura simile al Granone Lodigiano già citato da alcune fonti latine.

La zona, ricca di acqua e foraggio, ben si prestava all'allevamento di una razza vaccina originaria dell'Europa Orientale, oggi nota sotto il nome di Rossa Reggiana: introdotta con tutta probabilità a sud delle Alpi dai Longobardi, alle grandi capacità lavorative univa la qualità della carne e una buona produzione di latte. E da quel pregiato latte si cominciarono a produrre grosse forme di formaggio (all'incirca 18 chili) particolarmente adatte alla stagionatura e alla conservazione.

Il sale, di grande importanza ai fini del processo di trasformazione casearia, era messo a disposizione in grande quantità dalle saline di Salsomaggiore ed il prodotto finì con l'essere commercializzato con successo anche in zone relativamente lontane: un atto notarile redatto a Genova nel 1254 testimonia infatti che fin da allora il caseus parmensis (formaggio di Parma) era noto in una città così lontana dalla sua zona di produzione.

La consacrazione, anche letteraria, giunge nel 1344 dalla penna di Giovanni Boccaccio, che nel suo Decamerone descrive la contrada del Bengodi e cita una montagna di "parmigiano grattugiato" su cui venivano fatti rotolare "maccheroni e raviuoli". E ancora oggi, accanto alle numerose e ghiottissime preparazioni culinarie che lo vedono protagonista, il Parmigiano Reggiano trova nella generosa spolverata su un bel piatto di pastasciutta la sua destinazione ideale.

Col passare del tempo le forme si sono fatte più grandi (mediamente 40 chili), e le Rosse Reggiane sono state quasi totalmente rimpiazzate dalle Frisone, che benché meno adatte al lavoro nei campi (ma oggi ci sono i trattori) producono quasi il doppio di latte.

Perché di latte, per produrre una forma di Parmigiano, ce ne vuole davvero tanto: 16 litri per ogni chilo di prodotto stagionato, con una stagionatura che, secondo il disciplinare di produzione, deve durare almeno 24 mesi, se si vuole avere un prodotto degno della fama che si è guadagnato in oltre otto secoli di presenza sulle nostre tavole.

Innumerevoli in tutto il mondo, oltre ai tentativi di imitazione, i riconoscimenti. Non ultimo, quello tributato al nostro "formadio" dalle Poste Italiane, che il 25 marzo del 2011 lo hanno inserito, in compagnia del Gorgonzola, della Mozzarella e del Ragusano, in una serie dedicata al formaggio "Made in Italy".

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