digressioni gastro - filateliche
a cura della
Brigata di Cucina del Postalista

bindaetteok
Corea del Sud, 15 giugno 2005, Michel 2467
 
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Molto usati al giorno d'oggi come street food o come stuzzichini, spesso accompagnati da salse agrodolci o piccanti, i bindaetteok hanno origini molto lontane, tanto da essere descritti addirittura nel Eumsik Dimibang, un manuale di cucina universalmente considerato come il capostipite di tutti i testi gastronomici coreani, ed in ogni caso unico per essere il primo testo scritto da una donna coreana che ci è pervenuto.

L'autrice di questo manuale è Jang Gye-hyang, una nobildonna vissuta nella seconda metà del 17° secolo, appartenente alla potente classe degli yangman, prevalentemente formata da funzionari statali e militari di carriera. La ricetta di Lady Jang, come è usualmente chiamata Gye-hyang, è sostanzialmente simile a quella in uso ai giorni nostri. Quello che lei chiama binjatteok era una sorta di grossa focaccia fritta il cui impasto era formato essenzialmente da fagioli mungo, che dalle nostri parti sono noti anche come "fagioli indiani" e che in realtà sono largamente diffusi, oltre che in India, in tutto il sud-est asiatico e in Cina.

Si tratta di un piccolo fagiolo dal colore verde, tendente talvolta al dorato, e con un evidente "occhio" bianco, che si presta ad essere consumato così com'è, ma che è più spesso ridotto in polvere o in pasta per poi essere impiegato indifferentemente in preparazioni dolci o salate.

Per preparare i bindaetteok i fagioli mungo vengono prima ammollati, poi tritati finemente, e poi lasciati ancora in ammollo per almeno una nottata. All'impasto così ottenuto, accuratamente strizzato, viene poi aggiunto un trito grossolano di germogli di mungo, germogli commestibili di una varietà locale di felce, e cavolo verza fermentato (il popolarissimo kimchi). La pastella che ne risulta viene poi fatta arrostire in padella, o meglio ancora alla piastra, e servita.

Secondo certe tradizioni, pare che nei secoli scorsi questi bindaetteok servissero essenzialmente, almeno sulla tavola delle classi abbienti, come contenitori sui quali appoggiare il cibo (in genere carne di maiale e di pollo), e come una sorta di pane per raccogliere il sugo delle pietanze. Le focacce che restavano nei piatti e nei vassoi, intrise dei sapori della carne che vi era stata appoggiata, venivano poi divorate dalla servitù.

Probabilmente è solo una leggenda, ma secondo molti linguisti il termini bindaetteok sarebbe in realtà derivato dalla distorsione di bindaebyeong, che alla lettera significa "focaccia per la povera gente", il che parrebbe fornire una certa attendibilità alla teoria del bindaetteok usato originariamente come piatto (nel vero senso del termine) dei ricchi e cibo dei poveri.

In un'epoca come la nostra, in cui le divisioni di classe (per quanto presenti) sono sempre meno avvertite, i bindaetteok vengono spesso preparati aggiungendo la carne direttamente nell'impasto; carne essenzialmente di maiale, benché anche il pollo sia molto usato, mentre nelle regioni costiere non è infrequente l'uso del calamaro o del polpo.

Per gli occidentali in viaggio in Corea, dopo un primo impatto a volte traumatico, i bindaetteok finiscono spesso col rappresentare un'ancora di salvezza, un pasto veloce, sostanzioso, appetitoso e praticamente onnipresente: dai chioschi per strada ai ristoranti di ogni tipo, fino ai coffee-shop dei grandi alberghi.

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