digressioni gastro - filateliche
a cura della
Brigata di Cucina del Postalista

guacamole
Madagascar, 15 dicembre 1993, Yvert 1312
 
torna a

Filatelia Tematica



Per quanto il suo nome suoni spagnoleggiante alle nostre orecchie, nella maggior parte dei paesi dove si parla lo spagnolo l’avocado, materia prima della ricetta del mese, non si chiama avocado.

Nell’America del Sud (e anche in Spagna) lo chiamano infatti palta, utilizzando un nome di derivazione inca che già è attestato all’inizio del ‘600 nei Comentarios del cronista Garcilaso de la Vega. Nei paesi dell’America Centrale invece il suo nome è rimasto aguacate, che proviene dal náhuatl ahuacatl, termine che indica anche i testicoli, probabilmente a causa della forma del nostro frutto.

Il nome con il quale lo indichiamo noi (e con noi la maggioranza dei popoli occidentali) nasce con l’introduzione della coltivazione in Florida e in California, ed è in sostanza l’anglicizzazione del termine messicano aguacate. Nato quindi nella prima metà dell’800, questo nome è stato poi ufficializzato nel 1915 dall’Associazione dei Coltivatori di Avocado della California.

Si tratta di un frutto dal sapore abbastanza neutro e delicato, adatto quindi a preparazioni sia dolci che salate, dalla consistenza quasi cremosa quando perfettamente maturo e con un contenuto di grassi (prevalentemente monoinsaturi) molto alto, il che lo rende particolarmente ricercato da chi, per scelta o per necessità, si trovi nella condizione di escludere dalla sua dieta i grassi di origine animale.

E in effetti un avocado toast, piatto che dalla California ha conquistato il mondo e che consiste essenzialmente in una fetta di pane tostato guarnita con fette di avocado (crudo o alla brace) e arricchita con ortaggi, salse e additivi vari, pur non prevedendo nella sua versione base l’uso di prodotti animali non ha niente da invidiare, quanto a gusto e potere nutritivo, ad un robusto, tradizionale, panino. Se poi, come alcuni fanno, lo si arricchisce con uova, formaggio e addirittura bacon, allora un avocado toast può tranquillamente costituire un pasto completo… e abbondante.

Noi dell’allegra Brigata di Cucina del Postalista preferiamo però gustarlo in una delle preparazioni più caratteristiche della cucina messicana, il guacamole: una salsa il cui nome deriva ancora una volta dall’antica lingua degli Aztechi. Ahuacamolli, la chiamavano, che alla lettera significa (ahuacatl + molli) pesto di avocado, ed è appunto ottenuta schiacciando grossolanamente in un mortaio la polpa di un avocado ben maturo, con l’aggiunta di succo di lime (per impedire che l’ossidazione ne provochi l’annerimento) e di altri ingredienti più o meno piccanti, come peperoni e peperoncini (e in Messico c’è solo l’imbarazzo della scelta), pomodori, olive, aglio, prezzemolo, cipolla, coriandolo, e chi più ne ha più ne metta.

La salsa così ottenuta, spesso chiamata anche mantequilla de los pobres (burro dei poveri), viene spesso servita come accompagnamento di insalate miste o carni alla griglia, o semplicemente spalmata sul pane, oppure ancora come guarnizione dei più comuni piatti della cucina tex-mex, come tacos, nachos e tortillas.

Il suo uso più conosciuto nel mondo è però quello di servire da intingolo per piccoli pezzi di tortilla croccanti, e in questa forma è diventata protagonista incontrastata di aperitivi ed happy hours ai quattro angoli del mondo.

La formula, crediamo che ormai la conoscano tutti: tortilla chips, guacamole e birra messicana, leggera e ben ghiacciata, magari tracannata direttamente dal collo della bottiglia, nel quale si sarà provveduto a incastrare la classica fettina di lime.

torna a

Filatelia Tematica