digressioni gastro - filateliche
a cura della
Brigata di Cucina del Postalista

sushi
Macao, 5 novembre 2010, Yvert 1517
 
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Nel III secolo a.C. i giapponesi usavano conservare il pesce mettendolo in recipienti di legno, a strati con riso bollito, sale e alghe, pressandolo per eliminare l'acqua in eccesso e poi lasciandolo fermentare per mesi prima di consumarlo. Il naresushi così ottenuto è l'antesignano del moderno sushi, e continua a essere prodotto anche oggi, soprattutto nella zona di Tokyo, benché il suo sapore sia a dir poco sconcertante per i palati europei.

Nel corso dei secoli quell'antico procedimento si è andato semplificando. A poco a poco si cominciò ad usare l'aceto di riso, in quantità sempre maggiori, per accorciare i tempi di fermentazione, fino a che, all'inizio dell'800, si diffuse l'usanza di servire direttamente del pesce crudo su piccole polpettine di riso bollito condito con aceto di riso, spesso avvolte in una piccola foglia di alghe.

Era nato così il nigirisushi (o più semplicemente nigiri), il primo e il più conosciuto dei sushi moderni, ampiamente presente nel francobollo presentato, emesso a Macao in occasione del decimo anniversario del festival gastronomico, e tirato in 200.000 esemplari dentellati 13 1/4 x 13.

La nuova preparazione culinaria incontrò subito un notevole successo e ben presto si sperimentarono nuove forme, come i maki (con il ripieno al centro, circondato da un rotolo di riso e alghe), i gunkan (dove riso e alghe formano una specie di barchetta generalmente riempita di uova di pesce), gli inari (contenuti all'interno di una specie di frittatina di uova o tofu) e altri ancora.

Tra gli ingredienti, oltre alle tradizionali alghe nori, vari tipi di pesce, non necessariamente crudo, visto che quelli di acqua dolce (come l'anguilla) vengono cotti. Particolarmente apprezzati il make (salmone) e il maguro (tonno, e il più pregiato è quello che arriva in volo dalle tonnare del... Mediterraneo), specialmente l'otoru, la parte più grassa e morbida ricavata dalla ventresca. E poi gamberi, polpo, sardine e ricci di mare, accompagnati da cetrioli, natto (fagioli di soia fermentati), umeboshi (prugne essiccate e salate), germogli di soia, etc.

Il tutto condito con l'immancabile wasabi, una pasta di rafano verde dall'aroma molto pungente, e un particolare tipo di salsa di soia, lo sho-yu. Dopo ogni sushi, ci si prepara al successivo "pulendosi" la bocca con tè verde, un vino dolce di riso chiamato mirin, e il tradizionale gari, sottilissime fettine di zenzero dolce sott'aceto.

A partire dagli anni '60 si è diffuso un particolare tipo di ristorante specializzato: il kaiten Qui i sushi, anziché essere portati al tavolo dai camerieri, scorrono su un nastro trasportatore ad anello intorno al quale sono seduti gli avventori, mentre i maestri di sushi (detti shokunin) stanno all'interno e preparano "a vista" le loro polpettine di riso.

Vederli all'opera è un vero spettacolo: pochi secondi per preparare un bocconcino che è anche un'opera d'arte, metterlo su un piattino, e trovargli un posto nel nastro trasportatore. I commensali scelgono i loro sushi preferiti mano a mano che se li vedono passare davanti, impilando poi i piattini usati, che serviranno a pagare il conto: a ogni colore corrisponde infatti un prezzo preciso.

I kaiten hanno incontrato molto successo tra gli occidentali in viaggio in Giappone, perché consentono di superare con facilità la barriera della lingua. Inoltre, contrariamente a quanto molti credono, questi locali, benché generalmente più economici di quelli tradizionali, non sono necessariamente di qualità inferiore. Uno dei punti di forza di un buon sushi, a parte ovviamente l'abilità dello shokunin, è dato infatti dal continuo ricambio di materie prime fresche, cosa che avviene più rapidamente nei locali di grande smercio.

Sarebbe tuttavia errato pensare che la "freschezza" del pesce si possa identificare in un passaggio immediato dalle reti dei pescatori al sushi: i regolamenti sanitari moderni prevedono infatti che il pesce, prima di essere consumato crudo, venga sottoposto a un congelamento di 24 ore ad almeno 20° sotto zero allo scopo di distruggere le larve di Anisakis, un parassita che nell'uomo può addirittura provocare la perforazione dell'intestino.

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