digressioni gastro - filateliche
a cura della
Brigata di Cucina del Postalista

gulai gajebo
Indonesia, 6 luglio 2004, Yvert 2103
 
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Filatelia Tematica



Della cucina indonesiana, e della sua ricchezza e varietà, l'allegra Brigata di Cucina del Postalista si è già occupata qualche tempo fa. Del resto, uno stato che comprende al suo interno migliaia di isole delle più svariate dimensioni ha per forza di cose una tradizione culinaria dalle mille facce.

Di isola in isola (e spesso anche all'interno di una stessa isola, soprattutto se molto estesa) cambiano le materie prime, le varietà di una stessa materia prima, l'uso di queste materie prime, gli accostamenti dei sapori e le tecniche di cottura, fino a formare una complicatissima geografia gastronomica che non poteva non stuzzicare le curiose papille gustative della Brigata.

E del resto anche le poste indonesiane non si sono certo tirate indietro, e a partire dal 2004 hanno via via dedicato diverse serie alla gastronomia del paese. Ed è appunto alla prima serie, quella del 2004, che appartiene il francobollo di cui oggi ci occupiamo.

La ricetta che ha attratto la nostra curiosità, il gulai gajebo, proviene dalla parte ovest dell'isola di Sumatra, e rientra nel grande filone che potremmo definire "del lesso rifatto". In Toscana è (o almeno è stata fino a poco tempo fa) usanza utilizzare gli avanzi della carne bovina bollita, soprattutto se si tratta di un pezzo relativamente grosso, tagliandolo a fette che vengono poi fatte insaporire in una salsa di pomodoro variamente aromatizzata.

E' quello che a Roma si chiama "bollito alla picchiapo'", consegnato alla celebrità dal rapido scambio di battute tra Stefano Satta Flores, Nino Manfredi, Vittorio Gassman e l'oste "re della mezza porzione" nel film C'eravamo tanto amati di Ettore Scola: lesso, pomodoro e cipolla. Ebbene, nel Padang, che è la parte occidentale dell'isola di Sumatra, un procedimento analogo viene seguito per il gulai gajebo, anche se ovviamente pomodoro e cipolla lasciano il posto ad altri e ben più pungenti sapori locali.

Ma procediamo con ordine. Occorre innanzitutto un bel pezzo di punta di petto, taglio abbastanza duro e molto grasso che qui chiamano gajebo, da far bollire per diverse ore con un mazzetto di odori in cui spiccano il salam (sorta di alloro indonesiano), la polpa di tamarindo, il galangale (simile al ginger) e la citronella.

Quando la carne è morbida (e ci vorranno diverse ore), la si mette da parte, mentre il suo brodo viene ristretto a fuoco alto, lasciando al gusto del cuoco la scelta di sgrassarlo, per un risultato finale più leggero, o no… e in questo caso, è il gusto che ne guadagna, magari a scapito del livello di colesterolo.

A questo punto, dopo aver fatto saltare in padella un battuto di aglio, cipolla, curcuma, peperoncino, kaffir (pianta locale le cui foglie hanno un gusto acidulo) e ginger, si aggiunge il brodo e una generosa dose di latte di cocco. Nella salsa così ottenuta viene finalmente messa a insaporire la punta di petto tagliata a fette e passata rapidamente in padella.

E' ovvio che ogni cuoco ha il suo personale dosaggio di peperoncino, kaffir e latte di cocco, per cui il sapore finale può variare dal delicato tendente all'acidulo fino al piccante tendente al… piccante.

La prudenza è d'obbligo, dunque, ma il risultato giustifica il rischio… Selamat Makan.

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