digressioni gastro - filateliche
a cura della
Brigata di Cucina del Postalista

cevapcici
Bosnia e Erzegovina, 28 giugno 2002, Yvert 374
 
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Benché la città serba di Leskovac ne rivendichi la paternità, l’origine dei cevapcici va ricercata più a oriente dell’area balcanica, e anche il loro nome suggerisce di andarla a scovare in Turchia o addirittura in Persia e in Arabia. L’etimologia infatti riconduce all’arabo kebab, che semplicemente significa carne arrostita… e siccome nel nostro caso si tratta di piccole polpette, ecco che fa la sua apparizione il suffisso -cici, che nelle lingue serbo-croato-bosniache ha valore diminutivo.

E sono infatti delle polpettine a riempire i somun che l’allegra Brigata di Cucina del Postalista si accinge ad addentare seduta al tavolo di un’accogliente cevabdzinica di Sarajevo: siamo venuti fino in Bosnia perché pare che proprio da qui, dopo essere stati introdotti nella penisola balcanica dagli ottomani, i nostri cevapcici siano partiti alla conquista dell’intera penisola balcanica, e in particolare dell’area che corrisponde grosso modo ai territori della ex-Jugoslavia.

Non è dunque un caso che proprio la Bosnia-Erzegovina abbia voluto dedicar loro un francobollo, e che lo abbia fatto riproducendo in effige proprio un bel somun imbottito di sarajevski cevapcici, quelli fatti alla maniera di Sarajevo, che della Bosnia è la capitale.

Da queste parti, come nel resto della ex-Jugoslavia, l’ingrediente di base è costituito da un misto di carne bovina e ovina finemente macinata e impastata con cipolle bianche tritate fino quasi a ridurle in poltiglia, aglio, paprica (più o meno piccante secondo il gusto), cumino e altre erbe aromatiche. L’impasto viene poi foggiato in piccoli cilindri del diametro di un paio di centimetri per una lunghezza che non eccede gli otto centimetri e posto a cuocere alla brace, alla griglia o alla piastra.

A Sarajevo è tradizione usare un misto di manzo e agnello dove predomina il bovino, ma da altre parti le proporzioni si invertono, e si usa anche il più delicato vitello o il più saporito montone. E addirittura, dimenticando le originarie prescrizioni religiose, ci sono zone della Serbia, della Slovenia, dell’Austria e del Friuli dove nell’impasto finisce anche la carne di maiale.

I cevapcici possono costituire una pietanza a sé stante, accompagnata da insalata di pomodori e da una generosa razione di cipolle tagliate ad anelli, ma la maniera più tradizionale di gustarli è, come abbiamo accennato, dentro a un somun: una specie di focaccia al cui interno, grazie alle modalità di lievitazione e cottura, si forma una cavità. Una volta tagliato in due, il somun forma una specie di tasca dentro alla quale, a Sarajevo, si introducono 10 polpettine. A questo si riferisce il numero 10 dell’effige del francobollo, non si tratta di un valore facciale, che del resto è quello in basso a sinistra, ma della maniera tipica di servire i cevapcici a Sarajevo: 10 u pola, 10 e mezzo, 10 cevapcici dentro a mezzo somun.

Come condimento, non possono ovviamente mancare le cipolle, stavolta tagliate a dadini e una generosa cucchiaiata di ajvar, una salsa di peperoni rossi arrostiti, spellati e tritati con l’aggiunta di diverse erbe aromatiche molto usata in tutta la penisola balcanica e della quale, ovviamente, esistono versioni più o meno piccanti… a volte proprio per moderare un po’ il gusto dell’ajvar, si aggiunge anche un po’ di kaymak, un formaggio fresco leggermente acidulo ottenuto dalla lenta cottura del latte a bassa temperatura.

Prijatno…

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