digressioni gastro - filateliche
a cura della
Brigata di Cucina del Postalista

l'amatriciana
Italia, 29 agosto 2008, Yvert 3022
 
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Benché nata a quasi 150 chilometri di distanza dalla Capitale, la matriciana (come la chiamano a Roma) è universalmente considerata uno dei piatti tipici e irrinunciabili della cucina romanesca, dove si sposa comunemente con i bucatini o con i rigatoni... matrimonio che fa rabbrividire gli abitanti di Amatrice, i quali usano questa salsa esclusivamente sugli spaghetti.

Agli spaghetti all'amatriciana è dedicata tutti gli anni una sagra, che si tiene nell'ultima settimana di agosto: in occasione della 42° edizione, il 29 agosto 2008, le Poste Italiane hanno emesso il francobollo (Yvert 3022) che vi proponiamo. Tirato in 3.500.000 esemplari (fogli da 25), con dentellatura 13x13 1/4, fa parte della serie "Made in Italy".

Ma torniamo ai nostri spaghetti per vedere, nei particolari, quella che è ritenuta dai puristi la vera "salsa all'amatriciana".

Innanzitutto, si dovrà usare il "guanciale", ottenuto, come dice il nome, dalla guancia del maiale, e non la più comune e meno pregiata pancetta. Si dovrà inoltre avere cura di tagliarlo a striscioline relativamente sottili e larghe, e non a cubetti: questa lavorazione consente di sfruttare al massimo il grasso presente nel guanciale, limitando al massimo l'aggiunta di altro tipo di grasso, che non dovrebbe essere l'olio (dicono che renda acida la salsa) ma lo strutto di maiale.

Una volta rosolato il guanciale (attenzione: rosolato... non bruciacchiato o peggio ancora "lessato"), si aggiungono i pomodori casalini freschi pelati e privati dell'acqua di coltivazione e dei semi... e in capo a un quarto d'ora la salsa è pronta. Non guasta un po' di peperoncino rosso, da aggiungere inizialmente insieme al guanciale.

A questo punto, non resta che far saltare gli spaghetti nella salsa, aggiungendo un generoso pugno di pecorino di Amatrice... non quello romano, che ha un gusto troppo salato e piccante, e men che meno l'aborrito parmigiano.

Una ricetta semplice, dunque, e proprio per questo difficile da realizzare a regola d'arte: questa è, da almeno due secoli, la "vera" amatriciana, anche se il lungo soggiorno romano ha introdotto inevitabilmente alcune contaminazioni, come l'uso della cipolla (da soffriggere insieme al guanciale), del pepe nero, del pecorino romano e, talvolta, dell'aglio.

Ma se questi "imbastardimenti" hanno finito con l'essere, bene o male, tollerati, restano da evitare come la peste ulteriori aberrazioni, come quella della pancetta affumicata e (orrore!!!) della panna che dovrebbe "ingentilire" la ricetta e che invece finisce con l'assassinarla irrimediabilmente.

Stretta parente, o per meglio dire antenata, dell'amatriciana è la gricia (o griscia), che pare debba il suo nome al paesino di Grisciano, poco oltre Amatrice, sempre in provincia di Rieti ma quasi ai confini con le Marche. Si tratta, in definitiva, di quella che viene a volte chiamata "amatriciana senza il pomodoro", che predilige il pepe nero, ed è senz'altro ricetta più antica (visto che il pomodoro, come condimento della pasta, è attestato solo dall'inizio dell'800).

La gricia fu probabilmente importata a Roma dai pastori abruzzesi che transumavano le loro greggi nella campagna romana... abruzzesi, perché sia Amatrice che Grisciano, benché oggi facenti parte della provincia di Rieti, sono strettamente legati, dal punto di vista culturale e gastronomico, all'Abruzzo.

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