digressioni gastro - filateliche
a cura della
Brigata di Cucina del Postalista

speck
Italia, 1° ottobre 2016, Yvert 3702
 
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Poco sale, poco fumo e molta aria fresca: questo il segreto che fa del prosciutto prodotto in Alto Adige (o se preferite nel Sud Tirolo) un prodotto unico al mondo. Unico, e con un suo nome di battesimo che lo distingue da tutti gli altri prosciutti: lo speck.

Perché lo speck altoatesino, nonostante il suo nome suoni identico a quello che in tedesco indica la pancetta, viene ricavato dalla coscia del maiale, esattamente come tutti gli altri prosciutti consegnati alle nostre papille gustative da altre tradizioni gastronomiche. A fare la differenza sono la lavorazione in primo luogo, e poi il clima.

Tanto per cominciare, la coscia di maiale viene disossata… e questo, direte voi, lo si fa anche per molti prosciutti; è vero, ma l’osso dello speck viene tolto dopo aver aperto in due nel senso della larghezza il pezzo di carne, come se fosse un libro.

Nella fase successiva queste grossa e spesse fetta di carne, che si chiamano baffe, vengono rifilate, cosparse di sale e di una miscela di pepe, ginepro, rosmarino, alloro e altre spezie sul cui tipo e dosaggio ogni produttore custodisce gelosamente il segreto. Dopo averle lasciate salmistrare per un periodo che, anche a seconda della grossezza della coscia, va dalle tre alle quattro settimane, le baffe vengono sottoposte ad un processo di asciugatura unico nel suo genere, che unisce l’affumicatura (prevalentemente usata nei a nord delle Alpi) all’asciugatura all’aria (in uso invece nei paesi mediterranei).

La temperatura del fumo, prodotto con legna poco resinosa, viene mantenuta intorno ai 20 gradi per non chiudere i pori, cosa che ostacolerebbe l’asciugatura all’aria, e le due fasi vengono alternate fra di loro fino ad ottenere la giusta consistenza. La fase finale è quella della stagionatura: almeno 22 settimane in locali dove circola abbondante aria fresca.

Durante la stagionatura sulle baffe si forma uno strato naturale di muffa aromatica che viene rimosso alla fine del processo. Questa muffa protegge la carne evitando che si asciughi troppo, consentendo così una maturazione interna uniforme; al tempo stesso è fondamentale per il risultato gustativo, poiché armonizza e arrotonda le intense note speziate e affumicate tipiche dello speck.

Benché sia entrato prepotentemente a far parte della cultura gastronomica locale (basti pensare ai canederli) e mondiale e venga al giorno d’oggi ampiamente usato in miriadi di ricette, la maniera migliore di apprezzarlo è quella tradizionale altoatesina, quella che in dialetto tirolese si chiama brettljause, e che a sud delle Alpi viene chiamata marende.

Come avrete già capito, si tratta di una merenda: un sostanzioso spuntino con il quale i montanari tirolesi usavano rifocillarsi durante i lavori al pascolo o nei campi. Nella sua forma tradizionale, la marende si compone di pane nero, salsicce, cetrioli inaciditi e formaggi locali: dai notissimi Puzzone di Moena e Vezzena, ai meno noti ma non per questo meno gustosi Almkase, alla lettera “formaggio di malga”, tra i quali spicca il Graukase.

E naturalmente il nostro speck, tagliato in fette larghe e spesse e mandato giù con l’accompagnamento di robusti bicchieri di vino o generosi boccali di birra.

Il momento e il luogo migliori per assaggiare questa deliziosa marende? All’inizio di ottobre nel cuore delle Dolomiti, quando ai piedi del massiccio delle Odle, nel paesino di Santa Maddalena, si svolge la Festa dello Speck…

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