digressioni gastro - filateliche
a cura della
Brigata di Cucina del Postalista

satay
Singapore, 4 luglio 2008, Michel 1801
 
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Filatelia Tematica



Benché il francobollo faccia parte di una serie, denominata Local Delights (Delizie Locali) ed emessa congiuntamente nel 2008 da Macao e Singapore, i saporitissimi spiedini che deliziano questo mese i palati dell’allegra Brigata di Cucina del Postalista sono in realtà nati nel vasto arcipelago indonesiano.

E della cucina indonesiana, del suo intreccio di tradizioni diverse da isola ad isola (e ce ne sono oltre 17.000) il satay, nelle sue quasi infinite varietà, è una specie di simbolo, forse il più conosciuto al mondo anche se, ironia della sorte, nel mondo occidentale viene quasi sempre associato alla Thailandia.

L’ingrediente di base più usato è il pollo, con o senza pelle (e a volte anche solo la pelle, o le interiora) tagliato a piccoli pezzi per facilitare la marinatura e velocizzare la cottura, infilzato secondo la tradizione più stretta su spiedini ricavati dalla nervatura centrale delle foglie di palma da cocco, e posto a cuocere su una griglia di forma allungata dove ogni spiedino “parte”, per così dire, da un’estremità e a forza di essere girato durante la cottura arriva ormai cotto a puntino all’estremità opposta, in una sorta di “catena di montaggio” al termine della quale, accompagnato molto spesso da un tortino di riso e sempre da una salsa, è pronto per essere consumato.

Oltre al pollo si può trovare anche… di tutto: manzo, agnello, maiale, coniglio, interiora di vario tipo, cacciagione, pesce, molluschi e crostacei, tartaruga (specialmente a Bali), serpente, tofu, verdure, polpettine, uova premature… sì, proprio quelle che le nostre nonne mettevano nel cosiddetto “brodo delle partorienti”... insomma, tutto.

Per avere un’idea della varietà di sapori che è possibile assaggiare anche solo aggirandosi per un mercato di una qualsiasi città indonesiana, bisogna poi considerare che spesso a fare la differenza tra un satay e l’altro sono le marinate e le salse, e sono differenze che affondano le loro radici nella tradizione, ma anche nell’estro estemporaneo del cuoco. Praticamente infinita la lista dei possibili componenti della marinata, dal peperoncino all’aglio, dai cipollotti al ginger, dalle radici di galangal al latte di cocco, il lime, la noce moscata, il pepe, la curcuma, la cannella, il coriandolo, e chi più ne ha più ne metta, in queste che una volta erano conosciute col nome di “isole delle spezie”.

E per finire la salsa, che in Indonesia è quasi sempre un kecap manis, a base di soia dolce, il che può sembrare privo di fantasia, ma occorre pensare che anche queste salse possono essere variamente aromatizzate, e spesso molto piccanti. Come agente addensante non è infrequente l’uso di frutta secca macinata, e questo ha nel tempo introdotto un tipo speciale di condimento dove la soia è quasi scomparsa e le arachidi hanno preso il sopravvento.

Fuori dall’Indonesia, negli altri paesi del sud-est asiatico dove il satay si è diffuso, e in particolare nelle Filippine, in Malesia, a Singapore e in Thailandia, è proprio questo l’accompagnamento più gradito, e siccome nel mondo occidentale la più nota di queste cucine è proprio quella thailandese, dalle nostre parti l’idea del satay si accompagna quasi invariabilmente a quella della salsa di arachidi, al punto che spesso viene commercializzata col nome di satay sauce, e che addirittura nel menù di McDonald’s è stato a lungo presente un satay burger, ovverosia un hamburger condito con la nostra salsa alle arachidi al posto del tradizionale ketchup.

Inutile dire che una tale “specialità” non ha diritto di cittadinanza sulle tavole dell’allegra Brigata di Cucina del Postalista: noi preferiamo unirci alla folla vociante di un mercato di Poronogo, sull’isola di Java: c’è un chiosco che prepara satay di pollo lungamente marinato nella soia dolce speziata, servito con salsa di arachidi e peperoncino, e guarnito con scalogno tritato, sambal oelek e succo di lime.

 

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