digressioni gastro - filateliche
a cura della
Brigata di Cucina del Postalista

ovoli
Romania, 12 luglio 1958, Yvert 1582
 
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Il nome scientifico è amanita caesarea, ma in Toscana li chiamiamo cucchi (uova, nel linguaggio infantile), perché nella loro forma giovanile, appena spuntati, assomigliano a un uovo sodo: ovoidali, con un nucleo centrale arancione circondato da un più o meno spesso strato bianco.

E l'ovolo appena spuntato, ancora chiuso (a destra nel nostro francobollo), è ottimo crudo, in insalata condito con sale, pepe, poche gocce di limone, olio buono e, se piacciono, alcune scagliette di parmigiano. Condito e mangiato, affinché il fungo non si annerisca, e soprattutto per gustare appieno le sfumature del suo delicato sapore. Un altro matrimonio possibile è quello con i porcini, anche loro appena spuntati, praticamente ancora chiusi, e crudi.

In realtà, gli ovoli chiusi non andrebbero consumati, anzi la loro raccolta almeno in Italia è addirittura vietata. Tale pratica infatti impedisce la dispersione delle spore nell'ambiente, ostacolando dunque la riproduzione di un fungo che sta già comunque lentamente sparendo dai nostri boschi.

La ragione di questa rarefazione sta probabilmente nella sempre minore cura che si riserva al sottobosco, una volta mantenuto relativamente sgombro e pulito per favorire attività agro-forestali oggi in tutto o in parte abbandonate, dal pascolo degli animali alla raccolta di castagne, ghiande e altri prodotti del bosco. La nostra amanita cesarea infatti predilige le radure secche, ventilate e moderatamente soleggiate, mentre si trova decisamente a disagio sui terreni umidi e ricchi di vegetazione bassa.

L'altra ragione per cui è bene evitare il consumo degli ovoli chiusi è che possono essere con una certa facilità confusi con un parente stretto del nostro cucco: l'amanita muscaria. La quale altro non è che quel simpatico funghetto rosso con tanti puntolini bianchi sul cappello, spesso raffigurato nei disegni per bambini ai margini di graziose radure popolate da scoiattolini e cerbiatti, tanto bello a vedersi quanto, ahinoi, velenoso.

Al di là delle prescrizioni di legge, prudenza vorrebbe che si raccogliessero solo gli esemplari ben aperti, perché il colore delle lamelle è quello che permette di distinguere bene le amanite commestibili da quelle velenose, e qualora la cappella sia ancora parzialmente chiusa, come nell'esemplare di sinistra sul francobollo, una certa confusione è comunque possibile, soprattutto per i meno esperti.

Il ghiottone che, senza grossa esperienza, decidesse di avventurarsi nei boschi e, baciato dalla fortuna, si imbattesse in una famigliola di ovoli, prima di concedersi un gustosissimo risotto farà dunque bene a far esaminare il raccolto da uno dei vari servizi micologici messi a disposizione dalle Unità Sanitarie Locali o da altre organizzazioni comunque specializzate.

Una volta ottenuto il nullaosta, sarà cura del cuoco evitare di soffocare il delicato aroma dei cucchi con preparazioni troppo complicate: uno spicchietto di aglio, una velocissima sfumatura di vino bianco, qualche foglia di prezzemolo tritato e una leggerissima spolverata di pepe nero sono più che sufficienti ad ottenere un risotto memorabile o, se la quantità lo permette, un ottimo sugo per tagliatelline all'uovo da impastare, tirare e tagliare tassativamente a mano.

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