digressioni gastro - filateliche
a cura della
Brigata di Cucina del Postalista

judd mat gaardebounen
Lussemburgo, 24 maggio 2005, Yvert 1621
 
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Il francobollo e la ricetta che l'allegra Brigata è andata stavolta a scovare in Lussemburgo, al di là dell'ovvio interesse gastrofilatelico, offrono anche l'occasione per una digressione storica e linguistica.

Storica, perché come abbiamo anche altre volte notato guerre e invasioni, insieme al triste bagaglio di morte e devastazione, forniscono anche l'occasione di introdurre nuovi usi e sapori, dando spesso origine a piatti completamenti nuovi. E linguistica, perché il nome di quello che siamo venuti fin qui ad assaggiare rappresenta uno dei casi in cui la dizione originale, trasportata in altra lingua, viene ad assumere significati bizzarramente diversi.

La ricostruzione di Jean Claude Muller, linguista dell'Istituto Archeologico del Lussemburgo, ipotizza infatti che i lussemburghesi, i quali a cavallo tra il XVI e il XVII secolo furono sottoposti alla sovranità spagnola, abbiano imparato dalle truppe di invasione a mangiare quello chegli spagnoli chiamavano judias, ovvero uno stufato di fagioli accompagnato occasionalmente da carni di vario e per lo più infimo taglio, che costituiva il piatto forte del menù militare. In realtà, in castigliano il termine judias (sulla cui etimologia i filologi si accapigliano) indica semplicemente i fagioli.

Quando, nel corso del tempo, la ricetta entrò a far parte delle tradizioni lussemburghesi, i fagioli furono sostituiti dalle fave, più facilmente reperibili sul mercato locale, ed essendo ormai perduta (ammesso che mai ve ne sia stata reale consapevolezza) la corrispondenza tra la parola judias e i fagioli, il termine judd (omofono di judias) passò ad indicare la parte più pregiata del piatto, e cioè la carne, che a quel punto non era più rappresentata da scarti e frattaglie, ma da un succulento pezzo di capocollo, carne suina resa particolarmente gustosa dalle infiltrazioni di grasso di cui è ricca.

Judd mat gaardebounen dunque, alla lettera, significherebbe "fagioli con le fave", ed in particolare quelle provenienti dalla zona di Gostingen, nella parte sudorientale del paese.

Nella squisitezza che abbiamo assaggiato noi, le fave (e le patate bollite) fanno da contorno a un generoso pezzo di capocollo salato, o più spesso affumicato, che in vista della cottura viene lasciato a rinvenire in acqua fredda per tutta la notte. Il mattino successivo il nostro capocollo, dopo essere stato sgrassato mediante immersione in acqua bollente, finisce nel tegame, dove viene fatto stufare lentamente con porri, carote, sedano e odori vari. Verso la fine della cottura, è buona regola aggiungere al fondo anche un generoso bicchiere di bianco della Mosella.

Nel frattempo le fave, che a seconda della stagione possono essere fresche o secche (e in questo caso saranno state anch'esse in ammollo per una nottata) vengono cotte in padella con cipolle e pezzi di pancetta affumicata, aggiungendo a poco a poco anche l'acqua nella quale era stata sgrassata la carne e, quasi alla fine, anche una generosa parte del fondo di cottura che si è formato nel tegame dove cuoce il capocollo.

A ora di pranzo la carne, ormai cotta a puntino e morbidissima, viene fatta a fette abbastanza spesse, adagiata sulle fave, circondata di patate bollite, cosparsa del suo sugo, e mandata in tavola con l'accompagnamento di una buona bottiglia di vino della Mosella In alternativa, e su questo tema i lussemburghesi sono equamente divisi in due partiti, anche una robusta birra locale assolve egregiamente al compito di aiutare a mandar giù il nostro judd mat gaarnebounen.

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